La verità sul marketing dei farmaci in Europa

“Fact or Fiction? Ecco cosa devono sapere i professionisti della salute sul marketing dei farmaci nell’Unione Europea”. È questo il titolo provocatorio del rapporto pubblicato dall’Health Action International. L’associazione “No Grazie Pago io” ha tradotto e condensato le parti principali di questo testo utile a comprendere come funziona il marketing dei farmaci nell’Unione Europea.

“Gli operatori della sanità – si legge nella prefazione – sono esposti in modo pressante al marketing farmaceutico. Vi sono evidenze di come l’informazione fornita della aziende non porti ad alcun miglioramento delle prescrizioni, ma possa influire negativamente sulle stesse e sul comportamento professionale. Gli operatori sanitari vengono in contatto con materiale promozionale già da studenti senza che nel contempo siano forniti strumenti critici adeguati. Ciò rende gli operatori stessi impreparati al confronto con il potere persuasivo messo in campo dalle aziende farmaceutiche, con il risultato di prescrizioni inadeguate o informazioni distorte nei confronti dei pazienti”.

“La promozione di un farmaco – spiega il primo capitolo dell’opuscolo – ricalca il suo ciclo vitale: The Drug Life Optimisation Model (DLO). Per ottimizzare i profitti una strategia comunemente usata è quella di dividere il periodo di marketing (vita del farmaco) in tre stadi, la fase di pre-lancio (iniziale), il ciclo del mercato in esclusiva (intermedio) e quello dopo la perdita del brevetto (tardivo).

La fase iniziale prevede la formazione della consapevolezza di una certa affezione o malattia e prepara il pubblico ad un bisogno da soddisfare. In questo periodo si cerca di pubblicare solo gli studi favorevoli come è stato dimostrato per i coxib (Vioxx), gli antidepressivi, il Tamiflu.

Dopo l’esclusiva (intermedio) che dura in genere 20 anni, a brevetto scaduto, inizia la fase di competizione con i generici, con battaglie legali, ricorsi alle agenzie del farmaco, modifiche alla formulazione del prodotto, sostegno pubblicitario per dimostrare che in ogni caso l’originale è più sicuro del generico. Viene fatto credere che il profitto raggiunto in fase tardiva andrà reinvestito in nuovi prodotti affidabili oltre a ripagare le spese di produzione. In realtà l’obiettivo è quello di mantenere il farmaco nel mercato il più a lungo possibile”.

Nel mercato dei farmaci si assiste ad una vera innovazione o si tratta prevalentemente di marketing? “La rivista Prescrire ha recentemente riclassificato i farmaci apparsi sul mercato dal 1981 al 2010 dividendoli in tre categorie di valore terapeutico, negativo, neutro e positivo. Quest’ultima era la categoria meno rappresentata, evidenziando come la maggior parte dei farmaci non rappresenti un reale avanzamento nell’armamentario terapeutico.
Tra il 2000 ed il 2007 la spesa per la ricerca si è attestata sul 17% del bilancio di una azienda farmaceutica mentre il marketing è arrivato al 23%, ciò dimostra come molti prodotti restino sul mercato perché fortemente pubblicizzati a scapito del progresso terapeutico”.

“Il marketing – si legge ancora nel capitolo II – è una battaglia sulla percezione, non sul prodotto in sé. Posizionarsi nel mercato vuol dire far percepire positivamente il proprio brand al consumatore. Far sentire la presenza di un marchio, di un logo, è la vera battaglia; una volta che il brand è percepito come positivo, non occorre più dimostrarlo nuovamente, “basta la parola”.

Il farmaco che venderà di più non sarà necessariamente il migliore ma quello percepito come tale. Nel 2012 i farmaci sono arrivati al 20% della spesa UE per la salute, la voce più importante dopo le cure ospedaliere ed extra-ospedaliere. Si tratta di un mercato con regole “speciali”. I farmaci sono un prodotto di largo consumo ma che può avere effetti negativi sulla nostra salute. Per questo il paziente non decide cosa acquistare, lo fanno i medici, che non pagano il prodotto, il quale sarà a carico del servizio sanitario o delle assicurazioni. Di questa catena, l’anello più importante per le case farmaceutiche è il medico, unico prescrittore, quello che devono ‘motivare’ per ottimizzare i profitti”.

“Anche i cittadini possono diventare target del marketing. Fortunatamente la pubblicità diretta di un farmaco al consumatore (DTCA = direct-to-consumer-advertising) è bandita in UE, almeno per il momento. Ma esistono leawareness campaign (campagne di informazione) che possono trasformarsi in pubblicità occulta. Al termine della campagna le prescrizioni di farmaci aumentano, anche se il prodotto non è stato direttamente menzionato, basta che si usi la frase “chiedi al tuo medico”. Così è stata la fortunatissima campagna Pfizer sulla disfunzione erettile per vendere il Viagra”.

Ma come si espande il mercato? “Creare il bisogno di un prodotto è un must nella strategia del marketing e viene usato in diversi modi: il disease mongering ne è un esempio, un altro è la spinta ad usi off-label o le campagne di ‘aderenza’ alla terapia”.
Disease mongering significa “letteralmente ‘vendita di malattie fasulle’, che si può realizzare in diversi modi. Si possono ad esempio abbassare i parametri che dividono il sano dal potenzialmente malato, quali i valori di pressione, di colesterolo o di glicemia. Si possono trasformare situazioni usuali come la timidezza, la calvizie, la menopausa in vere e proprie affezioni da curare. Si possono esagerare i rischi di una certa malattia con campagne pubblicitarie aggressive”.

“Un altro modo per espandere il consumo di un farmaco è quello di spingere al suo utilizzo per indicazioni non registrate (off label) magari pagando opinion leader o offrendo corsi ECM. Un ben noto esempio sono i farmaci biologici in oncologia dove l’off label può arrivare al 75% dell’uso reale. Ricordiamo inoltre la vicenda del Mediator® (benfluorex) registrato inizialmente come terapia del diabete e poi usato come soppressore dell’appetito in molti paesi europei, oltre alla Francia dove era stato registrato”.

“Un ulteriore modo per attuare il disease mongering è creare condizioni di maggiore aderenza alla terapia attraverso programmi ad hoc che motivino medici, farmacisti e magari anche i pazienti, a mantenere la terapia più a lungo possibile”.

Cosa protegge dunque gli operatori della salute dal comportamento non etico delle aziende farmaceutiche?

“Esistono leggi per far sì che la promozione dei farmaci e gli interessi commerciali non scavalchino i limiti e vadano a minare la buona pratica clinica. Vi sono allo scopo tre bracci regolatori:
1. la legislazione UE;
2. le normative dei singoli stati, che la accoglie;
3.  i codici di comportamento volontari di aziende farmaceutiche e società scientifiche”.

Eppure l’autoregolamentazione non funziona ed il motivo principale è il conflitto di interessi: “il controllore ed il controllato coincidono. Si tratta di un comportamento lasciato alla volontà delle singole aziende, non sanzionato dalla legge. Spesso si arriva con (colpevole) ritardo, quando il consumatore è già stato esposto agli effetti nocivi dell’informazione scorretta. Quando anche comminate, le multe appaiono ridicole in confronto ai profitti realizzati e non scoraggino l’iterazione del comportamento”.

Leggi il rapporto completo “Fact or Fiction? What Healthcare Professionals Need to Know about Pharmaceutical Marketing in the European Union”

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