Ulivi millenari: un patrimonio a rischio

Un olio che ha un valore aggiunto dovuto alla storia che racchiude. Produrlo costa di più. Un progetto della comunità europea cerca di preservare questo patrimonio e di far risparmiare gli olivicoltori.

Condire l’insalata con un cucchiaio di storia, un filo di patrimonio naturale e ambientale, un goccio di biodiversità. È quello che accade ogni volta che si usa l’olio spremuto dalle olive degli alberi plurisecolari che costellano la campagna pugliese.

Un tronco imponente, che in alcuni casi può superare i 10 metri di circonferenza, che si avvinghia su se stesso in modo irregolare a formare una vera scultura. Sui 50 milioni di ulivi pugliesi, quelli secolari sono circa 5 milioni, i millenari 1 milione, concentrati soprattutto lungo la piana costiera tra Bari e Brindisi, non più di 40-50 per ettaro, contro i 200-300 alberi giovani degli uliveti intensivi.

Regalano un olio di alta qualità (se prodotto con metodi appropriati, portando le olive al frantoio appena raccolte). Ma hanno un valore aggiunto: culturale e storico di gustare un olio dalle stesse olive assaporate dagli antichi greci e romani.

E il valore naturale di un paesaggio antico ricco di biodiversità. Ma, purtroppo, sono in pericolo. Non per i “furti”, che avvenivano fino a pochi anni fa, da parte di chi strappava queste piante dal loro habitat per decorare una villa nel nord Italia. Oggi non è più possibile: una legge regionale del 2007 vieta di espiantare ulivi monumentali. Il nemico è un altro: di tipo economico. Se, negli ultimi anni, per i produttori di olio è difficile anche coprire i costi, per i proprietari di uliveti ultrasecolari la vita è ancora più dura. Le fasi di coltivazione, dalla potatura alla raccolta, sono molto più costose.

«Gli uliveti monumentali – spiega Gianfranco Ciola, presidente della Comunità degli oliveti secolari di Puglia – richiedono molta più manodopera».
«Quello che fa lievitare i costi – aggiunge Corrado Rodio, olivicoltore di ulivi millenari della masseria Brancati, a Ostuni – è il rispetto per la pianta. Per raccogliere le olive usiamo pettini manuali, al posto di macchine scavallatrici, che fanno risparmiare tempo, ma rischiano di spezzare i rami. Per coprire tutti i costi vivi non posso vendere l’olio a meno di 8 euro al litro».
Ma, con la concorrenza e con le basse quotazioni di mercato, non è facile e sono sempre di più gli olivicoltori che abbandonano gli uliveti, mettendo a repentaglio questo patrimonio.

Rispettare e risparmiare
Per tutelare gli uliveti secolari pugliesi è nato il progetto Cent.Oli.Med., finanziato dalla Comunità europea, gestito dall’Istituto Agronomico mediterraneo di Bari. «Proteggono una risorsa di biodiversità incredibile e si è dimostrato che sono una risorsa preziosa per contrastare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici», spiega Jenny Calabrese, dell’istituto Agronomico mediterraneo. «Purtroppo però sono esposti a numerose minacce, che possono arrivare dagli stessi olivicoltori, che, per aumentare la produttività, adottano pratiche agricole aggressive».

Scopo del progetto è anche insegnare loro tecniche agricole che rispettino le piante e l’ambiente e, contemporaneamente, permettano di risparmiare.

«Gestire un uliveto secolare – spiega Jenny Calabrese – può costare fino a tre volte di più di uno intensivo. Ma è possibile contenere i costi in modo naturale. Per esempio la potatura dell’ulivo può essere eseguita con interventi più frequenti (ogni 2 invece che ogni 4 anni): più leggeri per la pianta, più semplici e rapidi per gli operai, quindi più economici. Oppure l’inerbimento, una sorta di fertilizzante naturale, che riduce l’apporto di sostanze chimiche, la lavorazione del terreno e, quindi, la spesa. Basta mantenere l’erba alla base dell’ulivo e, con un’aratura superficiale, rovesciarla nel terreno per dare sostanze nutritive alla pianta: azoto, potassio, fosforo, come se fosse fertilizzato».

Fonte: valori

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