Troppo spesso si afferma che i medicamenti omeopatici non sono stati sottoposti a sperimentazione “scientifica”. È opportuno, quindi, chiarire cosa si intende per “sperimentazione farmacologica scientifica” (che ha pregi e limiti) dei farmaci convenzionali e cosa è la sperimentazione farmacologica omeopatica. In questo numero affronteremo il primo argomento; l’altro, che è uno dei principi basilari dell’Omeopatia, seguirà nel prossimo numero.
Come si fa la sperimentazione di un farmaco prodotto dalla industria farmaceutica?
La sperimentazione di un nuovo farmaco si svolge attraverso uno stadio preclinico (ricerche di laboratorio e su animali) ed uno clinico (sull’uomo) suddiviso in quattro Fasi.
Sono prove cui il farmaco viene sottoposto per verificare se, alle dosi consigliate, è efficace (cioè cura quel determinato sintomo o quella determinata malattia) e non tossico (sicurezza).
Per esempio: se affermo che il farmaco XZ fa abbassare la pressione arteriosa alla dose di 10 milligrammi al giorno, devo provare che veramente a quella dose abbassa la pressione e non provoca effetti tossici o “effetti collaterali” gravi. Se supera le prime tre Fasi di sperimentazione, il farmaco viene autorizzato ad essere messo in commercio: inizia allora la quarta fase di sperimentazione (detta “farmacosorveglianza”) che consiste nella somministrazione del farmaco non più a pochi pazienti selezionati ma a centinaia, migliaia di persone. Solo dopo questa fase, che può durare anni, si riesce a stabilire se un farmaco è efficace e poco tossico o se è pericoloso per la salute. Con questa modalità di sperimentazione si sono ottenuti farmaci utili, alcuni molto utili…ma non sempre le cose vanno così.
«Sviluppare un farmaco richiede oltre dieci anni di lavoro e costi per centinaia di milioni di euro…», recitava una pubblicità della Farmindustria, pubblicata sui giornali lo scorso autunno. Le prime tre fasi di sperimentazione sono molto costose per la casa farmaceutica; con la quarta fase comincia ad esserci un rientro economico e, in molti casi, guadagni ingentissimi.
I farmaci autorizzati alla vendita sono brevettati dalla casa farmaceutica: cioè solo quella industria può produrli e nessuna altra.
E il meccanismo d’azione?
Affinché un farmaco venga autorizzato ad essere venduto, è necessario che ci siano prove ritenute affidabili riguardo alla sua efficacia e sicurezza alle dosi terapeutiche; non è richiesta, invece, la precisa conoscenza del suo meccanismo d’azione, purché ci siano ipotesi sufficientemente accettabili. Ciò significa che molti farmaci sono usati senza che si conosca con certezza come agiscono nell’organismo. Esempio classico è l’Aspirina: messa in commercio verso la fine dell’Ottocento, ma il cui meccanismo d’azione è stato individuato attorno agli anni settanta del Novecento: quindi, per 80 anni si è usata l’aspirina senza sapere bene come funzionasse ma basandosi sulla evidenza clinica che faceva abbassare la febbre e diminuire il dolore. L’aspirina, in realtà si chiama acido acetil-salicilico, è un derivato dell’acido salicilico contenuto nella corteccia del salice, usato da secoli proprio per la febbre e i dolori nella medicina popolare empirica.
Un farmaco che ottiene la autorizzazione ad essere prescritto dai medici e ad essere venduto in farmacia è sicuro al 100%?
Purtroppo, no. Ogni sostanza chimica ha effetti tossici, più o meno pericolosi, basta dare un’occhiata al foglietto informativo contenuto nella confezione del farmaco. Farmaco, in greco, significa veleno! Rischi per la salute, “effetti collaterali”, reazioni avverse più o meno gravi possono verificarsi per vari motivi: alcuni sono previsti, altri inattesi. Alcuni pazienti sono ipersensibili ad un farmaco e ciò non può essere determinato prima della somministrazione; altri, a causa di una loro patologia, non dovrebbero prendere quel farmaco, per esempio chi soffre di gastrite non dovrebbe prendere l’aspirina. Chi ha malattie del fegato, dei reni, dell’intestino può subire più facilmente azioni avverse da farmaci.
Le cose si complicano se sono prescritti e somministrati più farmaci contemporaneamente: i rischi di “effetti collaterali” o reazioni avverse, si fanno più forti. Le reazioni avverse possono provocare un “brutto quarto d’ora” o malattie persistenti (= malattie iatrogene) o la morte. Alcune gravi malattie come il diabete, la gotta, l’immunodepressione possono essere scatenate da farmaci. L’elenco è interminabile.
La Fase IV di sperimentazione (“farmacosorveglianza) fa emergere proprio i rischi connessi all’uso continuato del farmaco su migliaia o milioni di persone.
Nel 2005, un famoso farmaco antinfiammatorio, che era stato regolarmente autorizzato alla vendita e molto prescritto anche in Italia, è stato ritirato dal commercio perché ha provocato gravissimi danni alla salute di chi lo prendeva. Cioè il farmaco non era così sicuro come si pensava.
La casa produttrice del farmaco è stata condannata in Texas a pagare 253 milioni di dollari di risarcimento alla vedova di un uomo di 59 anni che aveva usato l’antinfiammatorio per 8 mesi… e ne era morto (Fonte: settimanale Salute, de la Repubblica, n.460 di giovedì 15 Settembre 2005, pag.3).
Non si può tacere che, in fondo, la pericolosità di un farmaco dipende dall’essere usato in quantità pesabili: alcuni milligrammi ci possono sembrare una inezia ma per il nostro organismo possono essere quantità enormi.
I trattamenti farmacologici sono sempre efficaci?
Una polmonite batterica guarisce grazie ad una adeguata terapia antibiotica e a terapie di sostegno. Ma, per esempio, che fare di un bambino che ogni 30 giorni ha una tonsillite o una infiammazione delle adenoidi? Lo rimpinziamo di antibiotici e cortisonici? Continua ad ammalarsi. Gli togliamo le tonsille e le adenoidi: tutti contenti tranne il bambino che, per esempio, non ha più tonsilliti ma comincia ad ingrassare (non a diventare più robusto ma proprio ad incicciottarsi) o diventa allergico, asmatico, ad avere bronchiti a ripetizioni. Di nuovo antibiotici, cortisone, aerosol… Non sembra per niente un trattamento “scientifico”! Eppure casi come questo si verificano a migliaia. In conclusione: la “scientificità” dei trattamenti farmacologici, in generale, non è così certa.
L’aggettivo “scientifico”viene talora abusato e se ne fa un uso spregiudicato quando chi l’adopera vuole far intendere che i risultati terapeutici sono garantiti al 100% per ogni tipo di patologia e che non si corrono rischi a prendere un certo farmaco. Per fortuna, esistono ancora molti medici allopatici coscienziosi che non cedono a questa tentazione.
Quanto costa arrivare in farmacia?
500 milioni di Euro: costo per la sperimentazione di un farmaco
12 anni: il tempo che può passare dalla scoperta di un farmaco al suo arrivo in farmacia.
Fonte: Il Venerdì de La Repubblica, 23 Settembre 2005, pag.90
Sulla scientificità della medicina
«Per me la medicina è una disciplina empirica, che si muove spesso da verità scientifiche ma poi finisce col perderle di vista nei suoi percorsi, col rischio di basarsi esclusivamente sui “consensi”, l’opinione concorde e illuminata dei clinici più bravi, verità momentanee che cominciano a morire nello stesso istante in cui vengono formulate e che verranno poi sostituite da nuovi consensi.
La nostra medicina “scientifica” accetta l’empirismo: sono empiriche le cure “ex adiuvantibus” (vediamo se gli fa bene); è stata empirica per un secolo la somministrazione dell’acido acetilsalicilico (l’aspirina!); non abbiamo la più pallida idea di come funzionino molti farmaci (prendete, ad esempio, i moderni psicofarmaci). Ci sono cose, nella cura delle malattie,così strane e particolari che riescono a turbare anche i medici più materialisti e pragmatici».
Prof. Carlo Flamigni, professore ordinario di Ginecologia ed Ostetricia, ex membro del Comitato Nazionale per la Bioetica, in “Le piccole virtù” – Giudizio Universale, Anno I n. 7 – Novembre 2005, pag. 24
> PER SAPERNE DI PIÙ
C. Sukul Nirmal, Sukul Anibarn – “Farmacologia delle alte diluizioni. Studi biochimici e fisici sul medicinale omeopatico”, 180 pagg. – 2006 – € 22,30 – Salus Infirmorum – Padova
Fonte: Il Granulo
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