“Rendendolo sempre più colto, la scienza rende l’uomo sempre meno orgoglioso”
Claude Bernard
Scienza e mistero sono due termini che possono essere visti come contrastanti: scienza è sinonimo di esattezza, precisione, progresso, razionalità; mistero parrebbe sinonimo di nebulosità, ignoto, vago e poco chiaro, irrazionale. Secondo questa veduta, la scienza ci darebbe dimostrazioni, il mistero suggestioni. Se così fosse, sarebbe assurdo metterli in relazione, se non per dire che l’uno potrebbe essere visto come il contrario dell’altro. Nella cultura odierna, si da molto più credito alla scienza, anche se il mistero non cessa di interessare, soprattutto a livello di opinione pubblica e di mass-media.
In realtà, scienza e mistero hanno delle profonde relazioni, che è molto interessante andare ad analizzare, sia per capire meglio la dinamica dell’attività scientifica, che per delimitarne con maggiore chiarezza i campi di competenza. Forse alcuni difetti della scienza, o di un certo modo di fare scienza (“scientismo”) derivano dal non aver capito questo rapporto dinamico tra scienza e mistero. Tale rapporto può essere chiarito da un uso corretto della ragione. La ragione è una funzione della mente umana, probabilmente la più importante, ma non sempre è usata in tutta la gamma delle sue possibilità, venendo ridotta a ragione calcolante. Essa, invece, quando correttamente usata, non riduce la realtà a qualche suo elemento (chimico, fisico, biologico, spirituale e così via), ma consiste nel prenderne coscienza secondo tutti i suoi aspetti e nella sua complessità.
A sostegno di questa posizione si potrebbe citare una frase di Albert Einstein: “Lo scienziato che non ammette l’insondabile mistero non è neanche un buon scienziato”. Come è ben noto, Einstein non aveva abbracciato una precisa religione, ma aveva ben chiara la coscienza della straordinaria grandezza del creato che si dispiegava alla sua mente indagatrice. La grandezza e la bellezza del cosmo, sia del macrocosmo che dell’ultra-piccolo, ma anche la fisica pura, con le sue leggi che governano le particelle sub-atomiche e i moti delle onde luminose, avevano affascinato a tal punto Einstein da fargli “sentire” l’esistenza del mistero.
La tesi che qui si propone è, in sintesi, la seguente: la scienza origina dalla constatazione del mistero ed arriva alla constatazione del mistero, facendo un suo particolare percorso di conoscenza. In questo percorso, molti aspetti di ciò che all’inizio appare come mistero si chiariscono, ma il mistero stesso non si esaurisce.
Innanzitutto è necessario chiarire i termini del confronto. Se non si ha chiaro ciò di cui si parla, non si può neanche cercare i punti di contatto.
Mistero
Storicamente, il mistero si è posto come una sfida alla ragione umana ben prima dello sviluppo del linguaggio e della tecnologia scientifica. Cos’è il mistero? Sostanzialmente è “ciò che sta dietro la realtà”, ciò che, se fosse conosciuto, in qualche modo ne spiegherebbe l’esistenza. Si potrebbe dire che è la causa nascosta dell’esistenza delle cose, usando un linguaggio più tecnico lo si potrebbe chiamare il “meccanismo” che ne spiega la struttura e il funzionamento. Il mistero non è direttamente accessibile alla conoscenza per ciò che riguarda la sua reale essenza e la sua dinamica. Tuttavia, il mistero non è sconosciuto nella sua esistenza. Non occorre appartenere ad una certa religione per cogliere l’esistenza del mistero, basta porsi di fronte alla realtà con un minimo di apertura mentale.
La realtà fisica si presenta alla ragione umana come un dato (= essere dato), un esserci delle cose. Chi non ha provato l’impressione guardando il cielo pieno di stelle in una notte limpida, l’impressione per l’esistenza del cosmo. Allo stesso tempo l’impressione si trasferisce alla constatazione che tutto ciò non lo abbiamo fatto noi, anzi, noi siamo un minimo puntino in quello spazio. Questa impressione non è una ingenuità, la provano anche gli astronauti e gli scienziati. Questa impressione è la prova che la nostra ragione coglie il mistero nella sua esistenza.
Ma se si pensa bene, c’è anche un altro mistero nel mistero, cioè il fatto che noi, così piccoli e insignificanti, possiamo conoscere quella realtà, possiamo misurarla, possiamo indagare la materia di cui è fatta e forse anche per molti versi prevedere come andrà a finire. Cogliere il mistero è un po’ come porsi alla sua altezza, è un po’ come porsi all’altezza delle ragioni della sua esistenza. È sorprendente che la realtà riveli un ordine soggiacente e che la nostra ragione si rivela capace di misurarsi con ogni realtà fisica, dalla più grande, che occupa una grandezza di 15 miliardi di anni-luce, alla più piccola forma vivente che si vede appena al microscopio.
Ma non c’è solo il mistero cosmologico che sorprende l’uomo, ce ne sono altri, nella realtà dell’infinitamente piccolo (fisica sub-atomica) e nella realtà dell’infinitamente complesso (biologia). La vita è e resta un mistero, anche se ne conosciamo molti aspetti fenomenologici e meccanicistici.
Un altro mistero la cui esistenza è facilmente constatabile, cioè è evidente, è il mistero dell’autocoscienza. Quando dico “Io”, penso immediatamente a me stesso. Ma cosa sono io? certo quando dico io, non penso al corpo soltanto, infatti quando dico “il mio fegato”, dico che il fegato appartiene a me, a quel qualcuno che sono io, possessore del mio fegato. Ma chi sono io? Non sono certo la somma dei miei organi, perché anche se perdo un arto, o mi viene trapiantato il cuore, resto me stesso. E qualcosa mi dice che io non sono neppure il mio cervello, in quanto io “uso” il cervello per i miei scopi. L’io non coincide neanche con la coscienza perché se perdo la coscienza per esempio perché dormo o sono sotto anestesia, resto me stesso, sono io che perdo la coscienza o sono io che dormo. Quando mi risveglio sono io che riprendo la coscienza come una mia funzione. Quindi l’io non coincide col cervello. È un mistero che la scienza ancora non riesce a spiegare.
La lista dei misteri che colpiscono la ragione umana potrebbe allungarsi, ma ve ne è uno che colpisce in modo particolare: il dolore. Il dolore può avere alcune spiegazioni fisiopatologiche, ma, ultimamente resta un mistero, soprattutto quando è inspiegabile, a-finalistico, quando colpisce gli innocenti. In questo universo che per molti aspetti si rivela amico dell’uomo, a sua misura, con le sue bellezze e le sue ricchezze naturali, è presente un “seme” di distruzione, di annullamento. Nell’apparente ordine emerge con facilità il dis-ordine, fino alla morte. Ciò si constata sia nel mondo fisico esterno (ambiente), sia nell’organismo vivente, sia nei rapporti tra gli uomini che spesso divengono conflittuali e distruttivi. Cosa “sta dietro” a questo comportamento contraddittorio? È un grande mistero, ed è per questo che la scienza, tutte le scienze, si confrontano sul grande tema ordine-disordine, potendo, forse, sfiorarne alcuni meccanismi.
Esiste un Mistero (con la M maiuscola) che il senso religioso dell’uomo ha chiamato Dio, cioè il mistero dell’origine e del fine ultimi delle cose. Esistono però anche tanti misteri in tanti settori più particolari della realtà.
Una caratteristica distintiva del mistero, del vero mistero, è che più lo si capisce e più sembra grande, ovvero si capisce che non si finirà mai di capirlo. Questo primordiale stupore di fronte alle cose e ai fenomeni che rivelano caratteri misteriosi è la radice anche dell’attività scientifica. Lo scienziato è mosso da questa domanda di base: cos’è? Ma perché si ponga la domanda deve essere colpito da un certo fenomeno. Uno scienziato è mosso innanzitutto dalla constatazione del mistero e dalla voglia che nasce di capirlo, di coglierlo, di decifrarne il linguaggio. La matematica, ad esempio, è il linguaggio che parlano molti fenomeni fisici, tanto che le leggi fisiche sono scritte in linguaggio matematico.
Quindi il mistero è all’origine del rapporto della ragione umana con la realtà ed è per questo che sta anche all’origine dell’attività scientifica. Ma la curiosità scientifica ha una sua specificità, si è detto che la scienza parte dal mistero e fa un suo particolare percorso di conoscenza.
Il metodo scientifico
Qual è la specificità del linguaggio scientifico? Essenzialmente sta nel fatto che la scienza si rivolge all’aspetto misurabile della realtà. È evidente che l’aspetto misurabile è solo un aspetto della realtà. Essa esiste anche se per varie ragioni non è accessibile all’indagine scientifica. Vi è molto di più al mondo di ciò che è misurabile (oggi invece siamo immersi in una mentalità che tende a ridurre tutto a ciò che si può misurare, ma facendo così si amputa gravemente la dinamica della conoscenza).
Per rispondere al tema posto all’inizio, è fondamentale capire che la scienza non è l’unico mezzo per indagare il mistero, non è l’unico strumento della ragione umana. Ci sono anche l’intuizione, l’arte (senso estetico), la religione, la filosofia. Ogni approccio ha la sua dignità e il suo valore, ma nessuno può dirsi esclusivo. Possiamo conoscere la realtà in tanti modi, soprattutto con l’esperienza diretta, ma anche per sentito dire (non è detto che quello che sentiamo dire sia sbagliato), oppure per intuizione (anche l’intuizione spesso funziona), ma non siamo tutti scienziati. Tutti i popoli, anche in era pre-scientifica, hanno accumulato una gran serie di conoscenze, alcune anche molto utili, con metodi diversi da quelli scientifici (si pensi, ad esempio, ai popoli dell’oriente e ai loro sistemi medici che sono ritenuti in gran parte validi ancor oggi in quanto sperimentati per millenni). Allora, quando e su cosa interviene la scienza? Quando un “ricercatore” può dirsi “scienziato”? Quando segue delle regole precise nel modo (cioè nel metodo) con cui vuole dare una spiegazione di ciò che sperimenta.
Se si volesse definire sinteticamente la scienza, si potrebbe dire che è quell’attività umana, quello strumento sviluppato dalla ragione e dalla cultura umane, che cerca di spiegare la realtà in quanto misurabile. L’oggetto è quindi chiaro: la realtà. Ciò che sta sotto i nostri occhi, che vediamo, tocchiamo, sentiamo. La scienza parte da una osservazione di una cosa o di un evento che sorprende, ma si interessa solo di ciò che è in qualche modo misurabile.
Dal linguaggio scientifico sono esclusi i giudizi qualitativi (es. bello, brutto, simpatico, attraente, svogliato, stufo, annoiato, brillante, ecc…) e soprattutto i giudizi di valore (buono, cattivo, giusto, ingiusto). Tutto ciò che è soggettivo, non ha senso nel linguaggio scientifico. Nessuno scienziato può dire: “Lo dico io, io penso che sia così, quindi è così”. Al massimo può dire: “vi sono tanti dati che farebbero pensare che le cose stanno così, ma dobbiamo fare un esperimento o un calcolo per vedere se questa ipotesi tiene”.
Cosa vuol dire misurare? Sostanzialmente analizzare: misurare peso, altezza, durezza, posizione nello spazio, velocità, ecc: spiegare come una cosa è fatta, quali sono le sue componenti. È il metodo cartesiano: quando si è di fronte ad un oggetto complesso, per conoscerlo bisogna innanzitutto dividerlo in parti e cercare di analizzarle una per una, di precisare la loro posizione nello spazio (assi cartesiane!) e la loro costituzione chimica. Per analizzare, sostanzialmente, si va ad effettuare delle suddivisioni in parti e delle misurazioni. Ad esempio, per analizzare il sangue si deve estrarlo (quindi separarlo dal corpo), centrifugarlo (quindi separare il plasma delle cellule), misurare diverse componenti (sali minerali, enzimi, ecc…)
Inoltre, si misura anche la dinamica di un sistema, come evolve nel tempo, effettuando misurazioni ripetute ad intervalli e valutando le modificazioni rispetto alla situazione di partenza.
Non basta però fare delle misurazioni, è fondamentale anche capire cosa queste misurazioni significhino a riguardo della natura dell’oggetto. Fare solo esperienze senza capirne il senso si chiama empirismo, o fenomenologia, non scienza. Fare solo analisi senza stabilire dei rapporti dinamici si chiama riduzionismo scientifico, non scienza. Perché sia scienza, si deve anche chiedersi come il fenomeno che si è misurato si spiega, qual è la sua causa e quali sono i suoi effetti. In altre parole, si deve rispondere alla domanda non solo su “Cos’è”, ma anche “Come funziona”, si formulano dei modelli dinamici, che permettono di prevedere il comportamento futuro di un certo sistema. In sintesi, si tratta di conoscere le leggi che governano il sistema stesso. (N.B.: la domanda corretta è “come” un certo fenomeno è fatto o avviene, non “perché”, se con questo termine si intende dare una spiegazione del motivo “ultimo” o “primo” che giustifica la cosa o l’avvenimento. La scienza non può spiegare il “perché” delle cose).
Questo è il nucleo del metodo scientifico: si formula un’ipotesi esplicativa, sulla base delle precedenti conoscenze di fenomeni analoghi, ma anche sulla base di intuizione o ragionamento. In altre parole, di fronte a un fenomeno (= manifestazione della realtà) anziché dire: “ah, bello”, o anziché mettersi a fare un quadro, o restare addolorati (se è triste o tragico), si cerca una spiegazione. Più precisamente, si formula un modello, una legge del comportamento che lo spiega e possa prevedere il futuro.
Ma costruire modelli non è ancora scienza. Possiamo formulare mille ipotesi fantasiose ma non sono ipotesi scientifiche. Qual è la differenza? Perché l’ipotesi possa dirsi scientifica, bisogna che essa sia confutabile sperimentalmente. Bisogna che chiunque, dotato degli attuali mezzi di indagine, possa essere in grado di dimostrare che l’ipotesi è falsa (ciò non significa che lo sia, significa solo che si possa mettere seriamente alla prova). Quindi si passa al terzo stadio, quello della prova sperimentale.
Il terzo passaggio è che l’ipotesi viene testata con l’esperimento. L’ipotesi è buona se genera delle previsioni che sono confermate dall’esperimento: se l’ipotesi è corretta, bisogna che, date certe condizioni, si verifichi questo o quell’altro fenomeno osservabile e documentabile. Ad esempio, l’ipotesi di Einstein sulla natura della luce, prevedeva che un raggio luminoso fosse curvato dal campo gravitazionale e questo si è verificato. Lo stesso dicasi per il rallentamento del tempo quando la velocità aumenta. Anche questo si è verificato. Ma il criterio vale anche in campo biomedico: se formuliamo l’ipotesi che il cancro sia dovuto a una mutazione del DNA, la nostra ipotesi è scientifica se riusciamo a fare un esperimento: ad esempio prendiamo un cellula sana, induciamo una mutazione del DNA con sostanze chimiche o radiazioni ionizzanti e troviamo che la cellula è diventata cancerosa, nel senso che se l’inseriamo in un animale, qui si sviluppa un tumore.
La vera abilità del ricercatore è porsi delle domande utili in modo che possano generare degli esperimenti chiari e dirimenti sulla questione che si vuole studiare. È importante precisare che non è necessario che l’ipotesi sia totalmente fondata e coerente per dirsi scientifica. Oggi sappiamo bene che nessuna ipotesi, o meglio nessun modello esplicativo della realtà può dirsi esatto. Quindi una ipotesi è scientifica se è testabile. Se il test conferma le previsioni, l’ipotesi tiene e si consolida; se il test non conferma le previsioni, l’ipotesi cade e va sostituita con un’altra più o meno differente.
Ogni vero scienziato è molto umile nelle sue affermazioni, sa benissimo che le sue teorie e i suoi modelli durano solo finché qualcuno dimostrerà che sono sbagliati, in parte o anche in tutto. Ogni teoria scientifica ha subìto questo destino, per cui la pretesa di una scienza “dogmatica”, che possiede la verità, poteva forse essere credibile nell’ottocento, oggi non lo è più. Nella scienza non vi sono dogmi. Vi era fino a qualche anno fa un dogma, il dogma centrale della biologia, per cui l’informazione fluisce dal DNA al RNA, alle proteine. Questo dogma non tiene più, da quando si è scoperto l’esistenza dell’enzima “transcriptasi inversa”, che trascrive l’RNA in DNA (un meccanismo responsabile, fra l’altro, dell’infezione da HIV). Fino a non molto t
mpo fa si pensava che gli acidi nucleici fossero assolutamente indispensabili per la replicazione di un agente infettante, mentre la scoperta dei prioni (causa di serie encefalopatie epidemiche tra i bovini e di qualche caso anche umano) ha seriamente messo in crisi questa universale convinzione.
Quindi, in sintesi, il metodo scientifico è fatto da successivi cicli di 1) osservazioni, 2) costruzione di modelli e ipotesi, 3) verifica o invalidazione sperimentale. Grazie al metodo scientifico, la conoscenza della realtà si espande e si approfondisce.
La scienza esaurisce il mistero?
Se è vero che la scienza, mossa dalle questioni misteriose, progressivamente aumenta le nostre conoscenze sulla realtà, si potrebbe essere portati a pensare che, di conseguenza, il mistero progressivamente si riduce: oggi siamo immersi in una mentalità in cui è facile sentir dire che oggi la scienza spiega quasi tutto, il senso del mistero è diminuito. In realtà vediamo che non è così; questa posizione denuncia solo una scienza a buon mercato, una pseudo-scienza.
Senza volersi dilungare troppo su specifici argomenti, portiamo solo alcuni esempi, a mo’ di provocazione, dove si rivela una pseudo-scienza nel modo di ragionare comune, che però non è quello dei veri scienziati:
1) la felicità dipende dai geni e non dalle circostanze della vita;
2) l’amore tra due persone dipende dalla produzione di particolari sostanze nel nostro cervello;
3) l’intelligenza artificiale sostituirà il pensiero dell’uomo;
4) la pazzia è ereditaria;
5) la religiosità è solo un prodotto delle regole sociali;
6) l’embrione è un grumo di cellule;
7) fino al 14° giorno non c’è un embrione, ma un pre-embrione;
8) il “progetto genoma” porterà certamente alla sconfitta del cancro;
9) la vita sulla terra è comparsa per caso, ecc…
Anche se non espressi in questo modo esatto, simili giudizi si ritrovano con facilità nella stampa di divulgazione scientifica corrente. Tuttavia, queste e simili affermazioni, che sono segnate da uno scientismo da supermercato, hanno il “piccolo” ma elementare difetto di non essere provate. Nessuna delle sopra citate affermazioni è totalmente falsa, ma neppure totalmente vera. Si tratta di spezzoni di dibattiti scientifici tuttora aperti e oggetto di discussioni scientifiche, non si tratta di acquisizioni certe e definitive. Purtroppo i giornalisti cercano spesso la notizia sensazionale e la gente non ha gli strumenti per valutare criticamente ciò che viene propinato.
È chiaro che molti di quelli che una volta sembravano misteri oggi sono spiegabili scientificamente (ad esempio la radioattività, il magnetismo, la luce, per molti versi anche la nascita della vita sulla terra); pochi oggi guardano al sole come a qualcosa di misterioso. Ciò non significa che il mistero, nell’accezione che prima si è data, si sia ristretto. In altre parole potremmo dire che molti misteri si sono chiariti, mentre altri nuovi sono stati posti in evidenza. Il percorso di accumulo di conoscenze scientifiche è “insufficiente” ad esaurire il mistero, sia che si cerchi nell’infinitamente grande, nel sub-microscopico o nel super-complesso. Possiamo citare tre aspetti di questa “insufficienza” da parte delle teorie scientifiche ad abbracciare tutto lo scibile.
1 – Innanzitutto lo stesso grande aumento di conoscenze in molte discipline, in tutte le discipline scientifiche ha fatto sì che, anziché avvicinarsi alla costruzione di modelli esaustivi ed esatti, ogni scoperta rimandasse sempre a un più piccolo, o a un più complesso. Non esiste, ad esempio in biologia, una fine alla complessità di una singola cellula. Non esiste e non si vede come potrà esistere un modello completo di una cellula.
2 – Nel campo della fisica abbiamo avuto nella prima metà di questo secolo la fisica quantistica e il principio di indeterminazione. La prima ha mostrato che nel mondo sub-microscopico gli eventi fisici sono “quantizzati”, cioè avvengono come ” a salti”, come “o tutto o nulla”, ma senza che si possa noi prevedere, se non statisticamente, quando avvengono. Il principio di indeterminazione ha mostrato, essenzialmente, che non è possibile determinare simultaneamente la posizione e la velocità di una particella, perché il fatto stesso di osservarla la modifica. Quindi, se l’osservatore modifica l’oggetto della sua osservazione, è impossibile una sicurezza oggettiva sul fenomeno.
3 – Nella seconda parte di questo secolo che va a concludersi abbiamo avuto il grande sviluppo della teoria dei sistemi dinamici e del caos. Tra i capisaldi di questa teoria c’è il fatto che i sistemi dinamici (cioè quelli che evolvono nel tempo e nello spazio) hanno dei comportamenti e dei tipi di sviluppo che sono intrinsecamente imprevedibili. Anche se disponessimo di strumenti ultra precisi di osservazione, la conoscenza precisa di un sistema fisico in un determinato momento non ci permette di predire come sarà il sistema stesso dopo un certo lasso di tempo. Questo è particolarmente sentito nelle discipline biologiche e mediche.
Quindi la scienza è in crisi? Anzi, le scienze sono in crisi? No, è in crisi lo scientismo, la pretesa assolutistica della scienza. È in crisi la visione “riduzionistica” della scienza.
Allora possiamo avviarci alla conclusione affermando che la scienza, la vera scienza, mentre aumenta il livello delle nostre conoscenze spalanca la nostra ragione a misteri sempre più grandi e sempre più complessi. Certamente non esaurisce le nostre conoscenze, né si intravede come lo possa fare, nonostante si sia parlato negli ultimi anni di “teoria del tutto” (theory of everything), e pur dopo che Cantor ha dimostrato la consistenza logica dell’infinito attuale, cioè la possibilità della ragione scientifica di padroneggiare l’infinito. Ma l’insieme di tutti gli insiemi infiniti, noto come “assoluto di Cantor”, non può essere conosciuto razionalmente, come è di qualsiasi Assoluto che, in quanto tale, essendo una Unità e quindi completo in sé stesso, deve includere sé stesso, come sostenuto dal noto paradosso di Russel. Fra l’altro, la “teoria del tutto” come conoscenza universale urta contro il teorema della necessaria incompletezza di qualsiasi sistema logico-matematico dimostrata da Gödel.
Ci sono tanti misteri e c’è un mistero, con la M maiuscola, è il mistero che riguarda l’origine e il fine ultimi delle cose, della realtà. Questo Mistero, che molti chiamano Dio, sfugge per definizione all’indagine scientifica. Sfugge all’indagine scientifica non perché non esiste, o perché non ci sono prove scientifiche che esista, ma semplicemente perché non è misurabile, non è possibile fare una misura di quanto pesa, qual è la sua velocità, dove comincia e dove finisce. La scienza non può nulla. Ma questo non significa che sia in contrasto con la scienza. Sono due campi distinti. Sarebbe come se uno volesse misurare scientificamente l’amore di sua mamma o di sua moglie. È impossibile, anzi è assurdo, ma ciò non significa che l’amore non esista, semplicemente non è un oggetto di studio della scienza. Altrettanto dicasi dell’arte: inutile misurare i colori di un quadro di van Gogh per capirne l’arte. Per quanti pigmenti e sostanze chimiche possiamo misurare, non troveremo mai la bellezza. Eppure questa c’è, tanto che chiunque vorrebbe avere in casa un quadro di Van Gogh, non solo per quello che costa. Che dire poi di una sinfonia di Beethoven: forse che potremmo dimostrare scientificamente la differenza tra un pezzo suonato dalla Filarmonica di Berlino dallo stesso suonato dall’orchestra del paese?
I misteri, il Mistero e lo scienziato
Quindi la scienza, se può dire poco su amore, arte e valori, non può dire nulla davanti al Mistero con la M maiuscola. Di fronte a questo Mistero, lo scienziato è come tutti i comuni mortali, perché i suoi strumenti di misura non dicono nulla a proposito di “chi” ha fatto il mondo e “perché” lo ha fatto. La questione del significato del mondo, del suo “fine” è esclusa a priori dalle questioni scientifiche e dalle possibili spiegazioni. Così, è importante delimitare gli obiettivi e i metodi delle varie attività umane.
Ma allora, può Dio avere ancora un posto nella mente dello scienziato? La risposta è certamente si, perché la lettura religiosa della natura (e della storia) non è né confermata, né smentita dalla scienza. La religione è, essenzialmente, rivelazione di Dio all’uomo. Come ogni uomo, lo scienziato ha la possibilità di cogliere qualcosa di ciò che è il Mistero se accetta che sia quest’ultimo a potersi manifestare, cioè divenire accessibile all’esperienza. Ma questo fatto, se si verifica, non richiede un’analisi scientifica, quanto una disponibilità della ragione umana ad aprirsi a diverse dimensioni della realtà. Il riconoscere che un certo fatto rivela il Mistero (ad esempio, il Dio degli ebrei nel roveto ardente, o il Dio dei cristiani nel Gesù di Nazareth e nella Chiesa) non richiede la scienza ma la fede, che implica la libertà, di fronte al Mistero che si manifestasse, di contemplare o di rifiutare.
Se, invece, si cercasse nelle teorie scientifiche e nell’attività sperimentale il supporto per una fede religiosa, si farebbe un indebito salto di campo e si resterebbe facilmente delusi, perché tale prova non sarà mai trovata. D’altra parte, è anche vero che allo scienziato che è credente in un disegno divino, è data la possibilità di vedere in modo più dettagliato e documentato come il Mistero si rende presente nelle creature. Sono moltissimi gli scienziati che, guardando con un occhio di fede alla materia che era oggetto delle loro osservazioni, si sono sentiti anche confermati nella fede: “Dio vide che tutto ciò che aveva fatto era buono” (Gn 1,31). È estremamente suggestivo riuscire a vedere nelle leggi particolari l’esprimersi di un ordine ben più universale.
Esistono altri spunti di riflessione sul rapporto “personale” tra scienziato e mistero. Innanzitutto è interessante osservare come l’attività di ricerca sia, di per sé, una sorta di “avventura nell’ignoto”: nella ricerca si conosce il punto di partenza (di solito una osservazione, o ciò che altri hanno scoperto prima di noi), ma non si conosce se non per qualche passaggio il percorso. Alla fine magari si scopre qualcosa che non si era affatto previsto. Questo avviene perché di solito il vero ricercatore segue come degli indizi che i suoi esperimenti mettono in luce e segue spesso anche dei fatti imprevisti. Allora l’esperienza vera di ricerca è in qualche modo l’esperienza di un mistero che si manifesta man mano, quasi “di sua iniziativa”. È come se fosse la realtà a “volersi” rivelare allo scienziato, più che essere lo scienziato che riesce a scoprire come stanno le cose.
A sostegno di tale affermazione sta il fatto che, spessissimo, le scoperte più interessanti si fanno perché nella fase sperimentale salta fuori qualcosa di nuovo, che non ci si aspettava, diverso o persino contrario rispetto all’ipotesi di partenza, che costringe a rivedere le teorie. È esperienza diffusa che un errore, un imprevisto, un inconveniente che balza all’occhio attento del ricercatore si trasforma facilmente in un fatto positivo. Ad esempio, la scoperta della penicillina è avvenuta così, quando Fleming si accorse che delle muffe avevano contaminato le sue colture batteriche. Egli coltivava i batteri per tutt’altri scopi. In quelle piastre i batteri non crescevano più ma, anziché buttare via tutto si domandò le ragioni di quell’inconveniente e mise in relazione le muffe con l’arresto della crescita batterica, così scoprendo gli antibiotici.
Altre comuni esperienze sono quelle di grandi scienziati che si sono dedicati con successo ad un argomento perché spinti da esperienze e incontri casuali con persone o situazioni che li hanno stimolati a pensare. Ad esempio, G. Huntington, lo scopritore della malattia ereditaria che porta il suo nome, riferisce di un’esperienza che ebbe a 8 anni: “Andando con mio padre lungo la strada alberata che porta da East Hampton ad Amadansett, ci imbattemmo ad un tratto in due donne, madre e figlia, entrambe alte e di una magrezza quasi cadaverica, che si piegavano, si contorcevano e facevano smorfie. Le guardai attonito, quasi impaurito. Cosa poteva significare? Mio padre si fermò a parlare con loro e quindi proseguimmo… Da quel momento il mio interesse per la malattia non è mai cessato”. È stato un evento imprevisto che ha cambiato la vita di quell’uomo e lo ha fatto diventare un grande medico e scienziato. Anche in questa dinamica dell’imprevisto si constata il “manifestarsi” di un mistero che è sempre trascendente rispetto alla nostra capacità di comprensione e di previsione.
Infine, è importante sottolineare che, nel percorso dello scienziato verso una maggiore comprensione della realtà, ha un ruolo determinante il contesto culturale, economico e tecnico entro cui agisce. Ecco l’importanza dell’”Università” come luogo di crescita del sapere e di interscambio di conoscenze. Ecco, inoltre, l’importanza determinante che ha il “maestro” nello sviluppo di uno scienziato. Un maestro è innanzitutto colui che si entusiasma davanti al mistero delle cose e comunica all’allievo tale entusiasmo, la “carica” necessaria per affrontare poi tutte le innumerevoli difficoltà dell’impresa. Chiunque abbia un po’ di esperienza di ricerca ricorda, all’origine della sua formazione, il rapporto con un maestro che lo ha “iniziato”, anche se poi, come è naturale che avvenga, ciascuno ha il compito di sviluppare un percorso suo peculiare (proprio perché si verifica la dinamica descritta nel paragrafo precedente).
Il contesto in cui agisce lo scienziato non è però solo quello degli “addetti ai lavori”, ma quello dell’intera società. Egli rappresenta in qualche modo la punta di diamante dell’avanzamento della cultura umana verso il mistero. Per questo, lo scienziato è “sensibile” ai mutamenti in corso nell’epoca in cui vive e si regola di conseguenza nella scelta delle linee da seguire. Qualsiasi ricercatore può testimoniare che l’idea brillante può venire alla mente all’improvviso, mentre si sta facendo altre cose, magari si è in auto o in montagna. Affinché ciò si verifichi, è necessaria una buona preparazione specifica, ma anche una disponibilità della mente a prendere al volo il nuovo che si presenta. Si potrebbe forse, in ciò, paragonare lo scienziato ad una “antenna” sensibile alle idee, quelle idee che per Platone stavano nell’Iperuranio e che, però, cercavano sempre in qualche modo di venire giù tra gli uomini. Come nascano le grandi idee, le intuizioni geniali è, in fondo, anche questo un mistero, che si riferisce all’imperscrutabile complessità del pensiero umano e delle vie di comunicazione delle idee in una società.
In conclusione, il fenomeno della ricerca scientifica non può andare d’accordo con una concezione della ragione che la riduca a “misura di tutte le cose”. Piuttosto, la definizione di ragione che più pare adeguata in questo contesto di riflessioni è la seguente (di Luigi Giussani): “Così è sintetizzabile il dinamismo della ragione: come coscienza della realtà emergente nell’esperienza secondo la totalità dei suoi fattori”. Con questa definizione la ragione umana è abilitata a comprendere sia la scienza che il mistero, perché l’una e l’altra appaiono come due aspetti, distinti ma complementari, del rapporto tra uomo e realtà.
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