Roberto Burioni s’inventa gli untori italiani

Lo specialista in somaraggini Roberto Burioni ha appena lanciato il suo sito d’informazione. Si chiama Medical Facts e, ha spiegato il diretto interessato presentandolo alla stampa, «in futuro mi piace pensare che una iniziativa del genere possa riscuotere l’interesse delle istituzioni». Come a dire: se volete foraggiarmi, io sono qui. Già, in effetti le informazioni che fornisce Burioni sono davvero imprescindibili, mai sentite prima, e finalmente in grado di illuminare la mente degli italiani ignoranti.

Ieri, per dire Medical Facts ha pubblicato un articoletto con un titolo assolutamente inedito: «Uno studio rivela che siamo noi italiani a trasmettere batteri agli immigrati». Forse Burioni non se n’è accorto, ma titoli di questo tipo hanno dominato i media negli ultimi anni. ln ogni caso, il punto centrale è un altro: quello che scrive il castiga somari non è vero. Trattasi di una manipolazione bella e buona, che scoprire non è nemmeno troppo difficile. Vediamo di entrare nello specifico.

Burioni e i suoi collaboratori citano una «ricerca inglese e danese». Non specificano gli autori, non dicono dove sia uscita, non riportano virgolettati. Diciamo che, sull’aspetto divulgativo, c’è ancora molto da lavorare. Quello che importa al Gran Visir di tutti gli scienziati, però, è rendere noto il risultato della ricerca.

«Prima di tutto è risultato un fatto piuttosto scontato: i migranti sono persone particolarmente a rischio dal punto di vista sanitario», scrive Burioni. «D’altra parte, chi soffre fame e sete in condizioni estreme, come dire, spesso non ne esce con una salute di ferro. Non meraviglia, quindi, che il 33% (esattamente uno su tre), dei migranti più sfortunati, quelli che scappano da guerre e chiedono asilo, abbia avuto un’infezione o sia portatore sano (in termini tecnici colonizzato), di batteri resistenti a un gran numero di antibiotici. Già qui cominciano a sorgere i primi dubbi.

Ma il medico prosegue: «Questi migranti i batteri resistenti agli antibiotici non li acquisiscono nei loro Paesi poveri e martoriati, dove soldi per gli antibiotici scarseggiano e le medicine vengono usate con il contagocce. I batteri resistenti – tenetevi forte – i migranti li contraggono quando sono costretti a vivere, pigiati con altre centinaia di persone, in condizioni inumane in Paesi in cui i batteri resistenti agli antibiotici sono presenti in maniera molto abbondante. Indovinate qual è uno di questi Paesi? Avete indovinato: l’Italia, che non solo è un luogo di primo approdo per i migranti, ma anche un Paese {insieme alla Grecia), che primeggia in Europa per la presenza di questi pericolosissimi batteri resistenti ai farmaci».

Nonostante l’esposizione un po’ confusa, il senso è chiaro: i migranti si ammalano in Italia. Il messaggio che arriva al lettore comune è, più o meno, che gli italiani sono i veri «untori», un po’ come i conquistadores che infettavano i malcapitati indigeni delle Americhe con le schifezze portate dall’Europa. Non c’è bisogno di essere scienziati, tuttavia, per capire che nell’articolo di Burioni qualcosa non torna. Non è questione di lauree, ma di logica. I migranti, scrive il medico, contraggono i batteri resistenti agli antibiotici stando pigiati assieme ad altre centinaia di persone. Ma in quali luoghi può avvenire una cosa del genere? Nei campi di detenzione africani o nei centri di accoglienza. Dove i migranti starebbero, in effetti, «pigiati» con altri migranti.

Dunque i presunti untori europei dove sono? Forse sarebbe più sensato spiegare che i migranti si ammalano più facilmente durante il viaggio che li porta qui, o in alcuni centri di detenzione in Libia, o in luoghi mal gestiti come il Cara di Mineo, che infatti  andrebbero chiusi. Un fatto è che queste sono tutte argomentazioni a favore di una riduzione dei flussi migratori in ingresso, e per questo, probabilmente, a Burioni non piacciono. Ma non è finita. Burioni e soci presentano i loro «fatti medici» come verità assoluta. Fanno un uso politico degli studi. E non dicono una cosa importante: che i testi scientifici da loro citati vengono discussi e ridiscussi da numerosi esperti. Non rappresentano, cioè, «la verità assoluta», ma una tesi più o meno credibile. Spieghiamo.

L’articolo scientifico su cui Burioni basa la sua argomentazione si intitola «Antimicrobial resistance among migrants in Europe: a systematic review and meta-analysis» è uscito sull’autorevole rivista Lancet e lo firmano Laura B. Nellums, Hayley Thompson e altri. Sul sito di Lancet, oltre al testo dell’articolo, sono presenti anche le critiche di altri studiosi.

La prima che si trova è di Oliver van Hecke. Anche lui è uno scienziato, anche lui ha pubblicato su riviste autorevoli. Questo signore, esaminando l’articolo dei suoi colleghi, scrive: «Dovremmo essere cauti nell’interpretazione di questi risultati per diverse ragioni». Van Hecke sciorina una serie di obiezioni piuttosto dettagliate. Spiega che i dati a disposizione forse non sono così rappresentativi, e, a un certo punto, scrive: «Gli autori si sono concentrati sulle infezioni della pelle e dei tessuti molli o sulla diarrea. Questa è una limitazione importante. I dati non erano disponibili per le infezioni del tratto respiratorio (esclusa la tubercolosi), che sono di gran lunga le infezioni più comunemente presenti nelle comunità migranti e in realtà indigene, anche nei Paesi ad alto reddito».

Rispondendo alle obiezioni di Van Hecke, gli autori dell’articolo originale ammettono che i dati in loro possesso sono un po’ scarsi, e che bisognerebbe approfondire parecchio gli aspetti riguardanti le malattie respiratorie. Poi, ribadiscono una cosa importante. E cioè che a influire sulla diffusione dei batteri resistenti agli antibiotici sono «le condizioni del viaggio che i migranti affrontano per arrivare qui».

Nessuno degli scienziati intervenuti su Lancet utilizza i toni perentori di Burioni. Leggendo gli articoli, le critiche e le repliche assistiamo a una interessante discussione – molto pacata e informata – fra studiosi che sono pronti a mettere in dubbio il proprio lavoro, che procedono per tentativi e basandosi sulla documentazione in loro possesso. Burioni, invece, si limita a prendere un articolo (citandolo per sommi capi) e a trasformarlo in un dogma. Questo è il suo metodo, e sinceramente non sembra molto scientifico. Ovviamente, il titolo gridato di Medicai Facts ora verrà diffuso sul Web, verrà ripreso dai fan di Burioni e trattato come una verità incontestabile. Si tratta di una mistificazione, ma non importa. Roberto Burioni è lo scienziato più amato da quasi tutto il Pd, viene presentato come il cavaliere senza macchia che, impavido, difende la scienza dagli attacchi dei populisti con l’anello al naso. Ma, per l’ennesima volta, ha dimostrato di essere più interessato alla propaganda che alla realtà.

Fonte: la verità

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