Per i profani, test farmacogenetici e test genetici sembrano la stessa cosa. In comune c’è l’indagine sul nostro Dna. Ma, mentre i primi si limitano a rivelare la reazione di un paziente a una cura per una patologia già conclamata e in fase avanzata, i secondi sono test predittivi che dovrebbero calcolare la probabilità che una persona contragga una malattia nel corso della sua vita.
«Il fatto grave è che per questo tipo di test non è prevista l’autorizzazione di un’agenzia del farmaco e si prestano quindi a gravi speculazioni, mistificazioni e a cattiva comunicazione», spiega Giuseppe Novelli dell’Agenzia europea del farmaco.
«Su internet fioccano laboratori di analisi genetiche che offrono questi test. Basta leccare un francobollo, spedirlo a questi centri e si riceve la risposta via mail. Ci sono test per le cose più disparate. Anche per verificare se un soggetto sia più o meno idoneo a seguire un corso per smettere di fumare».
Due i rischi di questi test: discriminare le persone per le proprie caratteristiche genetiche e trasformare chi è sano in paziente cronico. Un esempio del paradosso lo ha dato, sulla rivista Lancet, Stephen Quake, bioingegnere alla Stanford School of Medicine in California: dopo un test genetico (da 50 mila dollari), Quake ha iniziato a prendere medicine anticolesterolo pur essendo in perfetta salute, perché, secondo l’analisi del suo Dna, aveva buone probabilità di subire attacchi di cuore in età avanzata. “Medicina preventiva”, la chiamano gli addetti ai lavori.
Quanto di più vicino al (controverso) sogno dell’ex direttore della casa farmaceutica Merck, Henry Gadsen: «Sognamo di produrre farmaci per le persone sane».
Fonte: valori
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