La ricerca della felicità… in pillole. Prescrizioni:+400% in nove anni

Siamo un popolo di malati cronici o solo vittime di una strategia per vendere più medicine?I dati Osmed fotografano uno scenario allarmante. Gli esperti puntano il dito contro “l’informazione scientifica” monopolizzata dall’industria.

C’ERA UNA VOLTA L’INVIDIATO STILE DI VITA MEDITERRANEO: cibo sano, lavoro quanto basta per vivere, lunghe passeggiate, tempo libero per un buon libro o per qualche serata in compagnia. A quanto pare, roba d’altri tempi. Altro che pizza, spaghetti e buon vino. L’amore degli Italiani per la bella vita sembra ormai soppiantato da una nuova passione: le pillole. Nel Belpaese si sta infatti registrando, anno dopo anno, un clamoroso boom di farmaci.

Soprattutto di antidepressivi. Una “moda” che non lascia immuni nemmeno i minorenni, che, anzi, sono, insieme agli anziani, le categorie più a rischio. Una scorciatoia per la felicità? Il segno di un malessere strisciante, ma poco indagato? Oppure il risultato di una sottile opera di persuasione delle corporation farmaceutiche?

Marketing innovativo
Ogni anno l’Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali (Osmed) produce un rapporto che monitora il consumo di farmaci. Dal 2000 ad oggi i dati sono sempre in decisa crescita. Il numero di dosi giornaliere di farmaci prescritte sono passate dalle 580 del 2000 alle 924 del 2009 (+60%). «Una crescita impressionante che non si può certo giustificare con l’invecchiamento della popolazione », denuncia Roberto Raschetti, direttore del reparto di Farmaco-epidemiologia dell’Istituto Superiore di Sanità. «La crescita dell’età media della popolazione – continua il professor Raschetti – può giustificare un aumento di appena l’1%. Siamo quindi di fronte a una cesura tra prescrizioni e patologie».

Ancora più allarmanti sono i dati sul consumo di antidepressivi di fascia A (quella a totale carico del Servizio sanitario nazionale): le 8,2 dosi giornaliere ogni mille abitanti del 2000 sono lievitate fino alle 33,5 dell’anno scorso (+408%). In pratica, ogni giorno tre italiani su cento assumono antidepressivi. L’aspetto interessante, che forse aiuta a far luce sui motivi del boom, sta nel fatto che ad aumentare sono quasi esclusivamente le prescrizioni degli antidepressivi di nuova generazione (i cosiddetti SSRI – “inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina” ), che sono ancora coperti da brevetto e più costosi. A pensar male si fa peccato, ma le valutazioni degli esperti non fanno che confermare i sospetti: «Un simile aumento si giustifica solo con l’aggressiva e innovativa campagna di marketing delle case farmaceutiche che presentano questi farmaci come un modo rapido per migliorare genericamente la qualità di vita, a prescindere dalla presenza di una malattia vera e propria».

Conferma Angelo Barbato, psichiatra dell’Istituto Mario Negri di Milano. «Questi nuovi farmaci hanno senza dubbio meno effetti collaterali dei vecchi antidepressivi triciclici (il cui uso è invece rimasto stabile, ndr), ma va chiarito che, nel 90% dei casi, quando si è di fronte a una depressione lieve o a semplici stati d’ansia, il loro uso è improprio e del tutto ingiustificato».

All’assalto di bambini e anziani
L’aspetto più preoccupante di questa tendenza inarrestabile è che dall’abuso di farmaci non sono immuni gli adolescenti. Quella dei ragazzi tra 13 e 16 anni è anzi una delle categorie che registra l’aumento più consistente.

Anche perché, al dato dei farmaci di fascia A si unisce quello sugli psicofarmaci da banco (vendibili senza ricetta), utilizzati da oltre il 10% degli under 15. «In questi casi ci sono fortissimi dubbi sull’utilità di simili prodotti. I dati, anzi, consigliano estrema prudenza».

Analogo discorso per gli anziani: «Questa fascia è sicuramente a rischio depressione. Ma imbottirli di goccette e pasticche è solo un surrogato di ciò che a loro occorre», prosegue il dottor Barbato. Un modo rapido per calmarli, più facile che ascoltarne bisogni e paure.

Il nodo informazione
Ma, al di là delle strategie della lobby del farmaco, la responsabilità pesa evidentemente sull’Agenzia del farmaco che non contrasta il boom delle pasticche. E sui medici: sono loro che le prescrivono e ne caldeggiano l’assunzione. «La maggior parte delle prescrizioni – rivela Barbato – arriva dai medici di base, che sono quelli meno in grado di maneggiare gli strumenti di approccio psicologico al disagio dei propri pazienti.
C’è una carenza di formazione e di informazione indipendente».

Sul punto, batte anche Roberto Raschetti dell’ISS: «L’informazione ai medici è fortemente in mano alle case farmaceutiche, attraverso gli “informatori”, le pubblicazioni e gli eventi con sessioni sponsorizzate dall’industria. Contrastare una macchina tanto oliata e ben finanziata è cosa complessa ma indispensabile. È di estrema urgenza riuscire a diffondere una nuova cultura dell’uso dei farmaci tra i medici e gli studenti dei corsi di medicina, in cui la farmacovigilanza è poco trattata. Purtroppo bisogna incidere su un’abitudine culturale». Che accomuna pazienti e medici: «I pazienti preferiscono la pasticca piuttosto che cambiare il proprio stile di vita. I medici si adeguano alle loro richieste e diventano semplici “prescrittori di farmaci”.

Invece dovrebbero tornare a essere figure con grandi capacità empatiche. È dimostrato che già da solo, l’ambiente e la modalità con cui ci si prende cura di un assistito ha un’efficacia impressionante».

Fonte: valori

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