Come è facile intuire, la parola rebirthing rimanda all’idea di rinascita. Con questa tecnica o disciplina, infatti, molte persone hanno rivissuto l’esperienza della propria nascita, il momento in cui sono venuti alla luce e hanno respirato per la prima volta. Altri, invece, hanno recuperato il senso della propria esistenza liberandosi da blocchi, da costrizioni emotive, dalle chiacchiere mentali, come tranelli tesi per ingabbiare i pensieri.
Respirare sembra una cosa molto ovvia ma non lo è. Ogni tanto ce ne dimentichiamo. Ogni tanto, specie quando le tensioni si accumulano e lo stile di vita ci obbliga a pensare a più cose contemporaneamente – impedendoci l’immersione nel “qui e ora”-, il respiro si blocca, si fa corto, frammentato. Ed è allora che le cose peggiorano, l’ansia aumenta, la situazione assume toni più confusi. Per qualcuno arriva persino l’attacco di panico, che è appunto uno stato di iperventilazione in cui si teme di perdere il controllo e si viene immobilizzati da cause apparentemente oggettive (metropolitana, folla, traffico, spazi chiusi).
Il rebirthing è in realtà una pratica di meditazione messa in atto dai monaci buddisti del sud-est asiatico e diffusa in America solo a partire dagli anni ’70 per opera di Leonard Orr e Stanislav Grof.
Oggi, in Italia, ci sono molte scuole che insegnano questa tecnica di autoguarigione; molti corsi lo fanno con un numero minimo di 10 sedute in cui si è seguiti da esperti, dopodiché si è in grado di continuare da soli, nell’intimità’ della propria stanza, come una sorta di esercizio quotidiano per mantenere lo stato di benessere.
Imparare a respirare in maniera “circolare” – senza che ci sia cioè un’interruzione tra l’inspirazione e l’espirazione – aiuta a riappropriarsi di una coscienza di sé reale, non contaminata, sottratta ai flussi di comportamento determinati da fattori esterni. Molta parte dell’idea che ognuno costruisce di sé e della propria personalità nasce, a tutti gli effetti, da un equivoco. Molto di ciò che attribuiamo alla nostra natura, e che pertanto crediamo immutabile e insuperabile, è invece il derivato di pensieri altrui, di situazioni emotive che non appartengono pienamente all’individuo.
E il respiro è un modo per riprendere contatto con se stessi, con il proprio corpo e la propria percezione delle cose. Il corpo – sostiene infatti questa disciplina – è l’unico tramite e strumento che abbiamo per conoscere l’Io e l’Altro. E dunque non va guidato, costretto, ignorato. Bisogna imparare ad ascoltarlo, lasciarlo agire, ritrovarlo. Ma il corpo può anche essere trasceso, superato attraverso la meditazione.
Spesso capita che il rebirthing conduca a stati di coscienza molto avanzati in cui è possibile avere esperienze ‘illuminanti’, di ricongiungimento con lo spirito o respiro dell’Universo. Qualcuno si abbandona a un sentimento di ilarità, altri a momenti di crisi che arrivano al pianto. Quel che è certo è che si reagisce al respiro, cioè a un modo diverso di introdurre ossigeno nel corpo.
Un esperimento che andrebbe fatto, almeno una volta nella vita. Invece della solita palestra o di altrettanto faticose sedute psicanalitiche, si potrebbe provare con una cosa semplice e vitale al tempo stesso.
Fonte: terranauta.it
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