Raffreddore: Le parole di Lui & di Lei

No, non è che non ci capiamo. Basta saperlo che su Marte (pianeta maschio) non si parla la stessa lingua che su Venere (pianeta femmina). Qui vi facciamo la traduzione.

Uomo:

Un uomo non si sveglia con un principio di raffreddore, esige direttamente le preghiere per il moribondo. Si abbandona sui cuscini come la protagonista tisica di un romanzo di Liala e dice: non respiro, sono a pezzi.

Un uomo non si limita a starnutire, ma riempie la casa, il divano, il televisore di fazzoletti appallottolati per significare la propria sofferenza, con borbottii, apnee, maledizioni verso la tintura madre di propoli che ogni volta gli consigliamo di prendere (“che schifo, ma cos’è, non mi fa niente, tu e l’omeopatia volete uccidermi”).

Un uomo dice: anche la febbre alta, lo sapevo, e infatti il termometro segna un allarmante 37 e 2. Nelle pubblicità delle medicine, è sempre un uomo il testimonial: disperato, deformato in volto, a letto, con brutti pigiami, incapace di prendere da solo un’aspirina, ma bisognoso di cure amorevoli, plaid scozzesi, brodo di pollo, pasticche, tisane, bacetti, bende, garze sterili.

Ci si convince, alla terza notte in cui ci prende a calci e gomitate causa smanie respiratorie, che non guarirà mai più, si immaginano i prossimi decenni al capezzale, con divisa da crocerossina e luminoso futuro dietro le spalle.

Finchè un mattino il marito (o fidanzato, amante, amico, figlio, padre) si alza, fa una doccia, canticchia e si offre di preparare il caffè. “Che naso rosso hai. Ah, ti sei presa il raffreddore. Vabbè, guarda me, sono guarito in un attimo”.

Donna:

Una donna sente un pizzichio al naso e pensa: adesso passa, basta una pashmina. Come misura preventiva decide di distribuire goccette, ovuli, brodi di pollo, caremmelle alla propoli a tutta la (riluttante) famiglia, dimenticandosi solamente di se stessa, e in ufficio raccomanda ai colleghi di stare lontani per non venire contagiati (d’accordo, spesso la sollecitudine nasconde una volontà anti scocciatori, ma bisogna pur sopravvivere, soprattutto se raffreddate).

Quando il principio di malanno stagionale raggiunge le dimensioni di una consistente bronchite, con tosse, occhi che lacrimano, brividi, la donna prende in considerazione la possibilità di avere davvere il raffreddore (ma adesso passa, basta una pashmina) e comincia una distratta cura omeopatica – subito dopo avere attraversato la città in motorino senza pashmina per assicurarsi un albero di Natale biologico con certificato di vita felice e promessa che dopo le festività verrà preso in consegna e ripiantato in un giardino pieno di altri ex alberi di Natale molto socievoli.

Fatemelo dire: curatevi. Un bagno caldo, per cominciare (non durante la polmonite, possibilmente prima). Rannicchiatevi sulla poltrona con un plaid. Starnutite, perfino. Fate la faccia afflitta. Chiedete il brodo di pollo e il telecomando. Così, come simbolico riconoscimento del vostro diritto al raffreddore, anche a Natale.

Fonte: myself

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