Una protesi mammaria di tipo Pip su tre rischia di rompersi, una percentuale più alta rispetto a quando in precedenza ipotizzato. Ad affermarlo è uno studio britannico pubblicato dal Journal of Plastic, Reconstructive and Aesthetic Surgery. La ricerca è stata fatta su un campione di 453 pazienti che hanno l’impianto da sette a dodici anni fa. Il tasso di rotture risultante dall’analisi con ultrasuoni è compreso tra il 15,9 e il 33,8%.
Intanto in Italia sono 80 i casi finora raccolti dalla Procura di Torino e 18 le querele di donne torinesi alle quali sono state impiantate le protesi prodotte dalla ditta francese Pip e finite sotto accusa perché sospettate di essere pericolose per la salute.
L’inchiesta è affidata al sostituto procuratore Raffaele Guariniello, che aveva acquisito il fascicolo sulle protesi dai colleghi francesi e iscritto nel registro degli indagati il fondatore della Pip, Jean Claude Mas, e un ex dirigente dell’azienda francese, Claude Couty, per frode in commercio e disastro colposo.
Durante gli approfondimenti il consulente tecnico della Procura ha confermato i risultati delle analisi svolte dalla Afssaps (Agence française de se’curite’ sanitaire des produits de sante’), agenzia pubblica francese, che avevano riscontrato una debolezza strutturale dell’involucro delle protesi che, unitamente a un progressivo indebolimento provocato dalla trasudazione dell’olio siliconico contenuto, ne determinerebbero un maggior pericolo di rottura con problemi per la salute delle donne.
Le donne torinesi che hanno questo tipo di protesi sono ora sottoposte a consulenza medica e nei mesi scorsi la Regione Piemonte aveva individuato cinque strutture sanitarie sul territorio regionale a cui le donne potevano rivolgersi.
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