Produzione mondiale di carne: toccato il picco

La produzione industriale di carne ha un costo insostenibile, comportando l’abbattimento di foreste per espandere pascoli, l’utilizzo di ingenti quantità di acqua e cereali ed il ricorso a massicce dosi di antibiotici per il bestiame. È questa la conclusione del rapporto “Peak Meat Production Strains Land and Water Resources”, da poco pubblicato dal Worldwatch Institute.

Il rapporto rivela che l’Asia ha prodotto 131,5 milioni di tonnellate di carne, che rappresentano quasi il 43 per cento della produzione mondiale nel 2013. L’Europa è seconda (58,5 milioni di tonnellate), seguita dal Nord America (47,2 milioni di tonnellate) e Sud America (39,9 milioni di tonnellate). Da sola la Cina ha rappresentato quasi la metà della produzione globale di carne suina nel 2013.

Nel 2013 i principali esportatori di carne sono stati gli Stati Uniti (7,6 milioni di tonnellate) e il Brasile (6,4 milioni di tonnellate), che insieme rappresentano il 45 per cento del commercio globale. Solo due i Paesi, l’Australia e la Nuova Zelanda sono i responsabili di ben l’84 per cento delle esportazioni mondiali di agnello e montone.

Il costo ambientale della costante crescita di produzione di carne è elevatissimo. Si pensi, infatti, che il 70 per cento dei terreni agricoli del pianeta è utilizzato per il pascolo degli animali. Un altro 10 per cento viene utilizzato per coltivare cereali per nutrire il bestiame (per carne e latticini).
Inoltre, per accelerare la crescita degli animali e ridurre la probabilità di focolai di malattie in spazi angusti vengono utilizzate massicce dosi di antibiotici.

Solo nel 2011 negli Stati Uniti sono state vendute 13.600 tonnellate di antibiotici per l’impiego sul bestiame: una cifra pari a quasi quattro volte le 3.500 tonnellate usati per curare le persone malate. Oltre 100.000, invece, le tonnellate di antibiotici utilizzate in Cina nella produzione di carne.

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