La politica agricola comune e gli sprechi alimentari

La Pac finanzia ancora chi produce di più. Che cosa succederà dopo il 2013? Forte la pressione dei colossi agricolo-alimentari che si aggiudicano la maggior parte degli incentivi.

La politica agricola comune (Pac) nasce circa 50 anni fa per garantire la produzione di cibo sufficiente per un’Europa che usciva da un decennio di carestie dovute alla guerra. Concedeva sussidi alla produzione su vasta scala, anche per l’acquisto delle eccedenze di produzione. Per decenni il risultato è stato: un livello di prezzi garantito per i prodotti alimentari (quasi sempre superiori a quelli di mercato) e una scarsa attenzione al problema della sovrapproduzione.
Si ricorderanno le montagne di burro e i laghi di latte prodotti negli anni ‘70/’80 che venivano smaltiti nei Paesi del terzo mondo. In quel periodo i grandi farmers usavano dire: «Produciamo più possiamo, tanto per quello che non vendiamo sui mercati c’è sempre la Commissione europea!».

Nel 1992 e, successivamente, nel 2003 la Pac venne ristrutturata, tentando di avviare i produttori agricoli verso le regole del libero mercato. Furono, quindi, tagliati progressivamente i sostegni artificiali ai prezzi e gli accordi mondiali di libero scambio, presidiati dal Wto, imposero un distacco tra aiuti e volumi produttivi. Vennero pertanto fissati pagamenti unici annuali per azienda, indipendenti dalla produzione, ma basati sui redditi storici (cioè gli incentivi vengono assegnati sulla base di quello che gli agricoltori ricevevano tra il 2000 e il 2002). Ma, purtroppo, i provvedimenti presi non hanno consentito la crescita di aziende agricole che avessero la forza di arrivare dalla produzione al mercato, dovendo subire invece l’azione di intermediari che le hanno relegate ai margini della competizione.
È quindi fallito il progetto di rendere il mondo agricolo più efficiente e capace di stare sul mercato, con una limitata rete di protezione pubblica solo in caso di eventi di natura straordinaria.

Il futuro della Pac

Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (nel dicembre 2009) sono tre gli attori che giocano un ruolo sul futuro della Pac: il Consiglio dei capi di Stato e di governo, la Commissione europea e l’Europarlamento. Il commissario europeo all’Agricoltura, il rumeno Dacian Ciolos si è già messo al lavoro sul post 2013 (quando scadrà il budget settennale 2007-2013 che scandisce la politica agricola e dovrà essere stabilito quello per il periodo 2014-2020).
Tra aprile e luglio 2010 si è svolta sul tema una consultazione pubblica che ha ricevuto più di cinquemila risposte da parte di associazioni agricole, centri studi, lobby, cittadini. I tedeschi hanno risposto in 1.440, i polacchi in 1.053 e i francesi in 788; le risposte italiane sono  state solo 94. Eppure il nostro Paese contribuisce al 12% della produzione agricola totale dell’Ue a 27, contro il 19% e il 13% di Francia e Germania.

Si è svolto anche un workshop a conclusione del quale il commissario Ciolos ha dichiarato: «Voglio una Pac forte, efficace ed equilibrata». L’opposto dell’elefantiaca politica comunitaria europea.
Adesso si attende per novembre un documento della Commissione che dovrebbe indicare la proposta per la nuova Pac e dare l’avvio alle negoziazioni di natura più politica che coinvolgeranno anche il Consiglio e l’Europarlamento. Quando si chiede nei corridoi della Direzione Generale Agricoltura alle persone che lavorano sul dossier cosa ci dobbiamo aspettare da questa nuova politica agricola la risposta è: tanti piccoli cambiamenti che porteranno ad un sostanziale miglioramento. Ossia tutto e niente.

Chi vince e chi perde

Non è facile fare previsioni. Per quanto riguarda i mezzi finanziari messi a disposizione sarà difficile aumentarli, ma sarà pressoché impossibile diminuirli, per la pressione delle aziende agricole che, nella stragrande maggioranza, non nuotano nell’oro. Anche l’ultimo sondaggio comunitario sull’importanza dell’agricoltura europea e sull’opportunità di aiutare l’ambiente agricolo a svilupparsi ha avuto risultati positivi quasi plebiscitari. Sarebbe auspicabile che venissero riviste le regole che consentono alle multinazionali agricolo/alimentari di accaparrarsi una notevole torta di aiuti (cosa che l’equilibrista Barroso e i suoi ossequiosi commissari staranno attenti a non fare) e che la trasparenza nella rendicontazione dei fondi erogati fosse veramente tale.
Viste le cifre in gioco i taxpayer europei dovrebbero avere il diritto di dormire sonni tranquilli circa i 60 miliardi di euro che annualmente la Pac travasa nelle tasche del cosiddetto mondo agricolo.

Fonte: valori

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