Troppa plastica in mare e nei nostri piatti

Troppa plastica nei nostri mari. A lanciare l’allarme è Greenpeace che ha presentato “La plastica nel piatto, dal pesce ai frutti di mare”, rapporto realizzato dai laboratori di ricerca di Greenpeace che raccoglie i più recenti studi scientifici sugli impatti delle microplastiche, incluse le microsfere, sul mare e quindi su pesci, molluschi e crostacei.

Non vi sono cifre definitive sulla quantità di plastica che finisce nei mari: alcuni modelli teorici stimano tra 5mila e 50mila miliardi di frammenti (numeri impossibili da verificare con certezza) equivalenti in peso a più di 260mila tonnellate, senza contare i rifiuti di plastica presenti sulle spiagge o sui fondali.

“Sempre più plastica – denuncia Greenpeace – viene ingerita dagli organismi marini e può risalire la catena alimentare fino ad arrivare nei nostri piatti”.

“La presenza di frammenti di plastica negli oceani è un problema noto da tempo ma in crescita esponenziale – spiega l’associazione  – Una volta in mare, gli oggetti di plastica possono frammentarsi in pezzi molto più piccoli, e diventare microplastica. Un caso a parte sono le microsfere: minuscole sfere di plastica prodotte apposta per essere usate in numerosi prodotti domestici (cosmetici e altri prodotti per l’igiene personale)”.

Il rapporto “offre indicazioni allarmanti sugli impatti delle microplastiche su vari organismi marini, tra cui diverse specie di pesci e molluschi comunemente presenti nei nostri piatti, anche se gli effetti sulla salute umana sono ancora troppo poco studiati”. Anche per questo, Greenpeace Italia chiede al Parlamento di adottare al più presto il bando alla produzione e all’uso di microsfere di plastica nel nostro Paese: su iniziativa dell’associazione Marevivo è stata già presentata una proposta di legge.

“Una mole crescente di prove scientifiche – spiega Giorgia Monti, responsabile Campagna Mare di Greenpeace Italia – mostra che le microplastiche possono generare gravi conseguenze sugli organismi marini e finire nei nostri piatti. Un bando alla produzione di microsfere è, per il governo e il Parlamento, la via più semplice per dimostrare attenzione agli effetti dell’inquinamento del mare e ai relativi rischi per la salute umana anche se è solo un primo passo per affrontare il gravissimo problema della plastica nei nostri oceani”.

“Arrivate al mare – spiega Greenpeace – le microplastiche possono sia assorbire che cedere sostanze tossiche ed è dimostrato che vengono ingerite da numerosi organismi: pesci, crostacei, molluschi. Purtroppo, non ci sono ancora ricerche sufficienti a definire con certezza gli impatti sulla salute umana ma i dati disponibili confermano la necessità di applicare con urgenza il principio di precauzione, vietando la produzione di microsfere e definendo regole stringenti per ridurre in generale l’utilizzo di plastica”.

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