Dove lo Stato è debole le corporation non trovano ostacoli: decidono su cosa investire, quali farmaci produrre, come intralciare la concorrenza. Una politica commerciale che uccide 50 mila persone ogni anno.
Ogni anno diciotto milioni di persone muoiono per malattie che si potrebbero prevenire e curare. L’equivalente di 50 mila decessi potenzialmente evitabili ogni giorno».
La stima è contenuta nell’ultima ricerca del gruppo Incentives For Global Health dell’Università di Yale. Un dato a dir poco allarmante, che ha portato i ricercatori a proporre la creazione di un fondo nel quale raccogliere contributi governativi per quelle società farmaceutiche che si impegnassero a rendere disponibili medicinali a prezzi accessibili nei Paesi in via di sviluppo.
Nel Sud del mondo, dove spesso i sistemi sanitari nazionali sono allo sfascio o non esistono proprio, le corporation del farmaco tendono a fare il bello e il cattivo tempo. «Naturalmente il problema non sono solo le case farmaceutiche – spiega Gianfranco De Maio, responsabile medico di Medici Senza Frontiere, organizzazione molto attiva sul fronte dell’accesso ai farmaci – tuttavia notiamo che sovente a fare le politiche di salute pubblica nei Paesi in via di sviluppo non sono i governi, ma il mercato e questo purtroppo non può funzionare. Se è più che legittimo che i privati traggano profitti dalla loro attività, è altrettanto vero che non possono essere loro stessi a decidere su cosa investire e su cosa no, in situazioni di questo genere».
Un esempio è quello della malattia del sonno, una patologia che nel mondo occidentale praticamente non esiste: a esserne colpite sono principalmente le popolazioni dell’Africa centrale. Per anni la malattia è stata curata con i sali di arsenico, che avevano come effetto collaterale una mortalità intorno al 5%. Poi si è scoperto che un farmaco antitumorale, l’eflornitina, funzionava. «Solo che a un certo punto – rivela De Maio – la casa produttrice, la Sanofi, non voleva più continuare a produrne perché non lo riteneva profittevole, né voleva cedere il brevetto. Successivamente si scoprì che in un prodotto cosmetico usato per la depilazione, la Vaniqa, c’era una 12% di eflornitina. Sanofi in pratica aveva ceduto alla casa cosmetica la possibilità di sintetizzarla, ma solo per quel prodotto. Appena la cosa è venuta a galla, per evitare danni d’immagine, Sanofi ha dovuto siglare un accordo di produzione compassionevole con l’Organizzazione mondiale della Sanità, che ogni anno lo distribuisce».
Un altro caso critico è quello dei farmaci antiretrovirali per l’HIV in formulazione pediatrica. Mentre nel mondo occidentale praticamente non si verificano più casi di bambini sieropositivi alla nascita, nel Sud del mondo, invece, di casi ce ne sono a milioni, ma non esistono le formulazioni pediatriche dei medicinali.
I brevetti, il pomo della discordia
Proprio i brevetti sono uno dei cardini attorno ai quali gira il problema. Gli accordi Trips (Accordo sui diritti di proprietà intellettuale relativi al commercio) che regolano la materia non contengono, infatti, particolari clausole di garanzia per l’accesso ai farmaci nei Paesi in via di sviluppo. Sulla questione alcune delle battaglie condotte negli ultimi anni hanno dato ragione a chi sostiene che si dovrebbero rimuovere le barriere all’accesso ai farmaci nei Paesi in via di sviluppo (vedi sul caso indiano), ma le resistenze delle case farmaceutiche restano alte e gli accordi internazionali, come ad esempio quello di libero scambio in via di definizione fra Europa e India, rischiano di dare un’ulteriore stretta.
«L’implementazione degli accordi Trips ha un forte impatto sull’accesso alle medicine – spiega Margaret Ewen, condirettore di Healt Action International Europe – Una casa farmaceutica che detiene un brevetto ha infatti il diritto di impedirne la produzione ad altri. Questa mancanza di competizione può avere come effetto prezzi al dettaglio molto alti. Per promuovere l’accesso ai farmaci quello che serve sono interventi che stimolino l’utilizzo e la produzione dei generici a basso costo».
Fonte: valori
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