L’ottimismo può aiutare ad affrontare i cambiamenti e ridurre il rischio di ricadere vittima di un disturbo cardiovascolare. È quanto emerge da uno studio condotto dal professor Jeff C. Huffman del Massachusetts General Hospital che ha analizzato i dati di 164 pazienti con un’età media di 62 anni, ospedalizzati per sindrome coronarica acuta tra il 2012 e il 2014, metà dei quali al primo episodio.
Ai pazienti, due settimane dopo il ricovero, è stato chiesto di compilare un questionario per misurarne il livello di gratitudine, di ottimismo e di sedentarietà sperimentati nel periodo precedente. I ricercatori, a distanza di sei mesi, hanno quindi misurato quante volte i pazienti erano stati nuovamente ricoverati e li hanno sottoposti all’analisi del sangue alla ricerca di biomarcatori di infiammazione, indice di un maggior rischio di episodi cardiaci futuri.
I pazienti riammessi in ospedale sono stati 35, quindi il 21% del totale, e 28 hanno avuto gravi problemi di cuore; gli ottimisti avevano un 8% in meno di probabilità di ospedalizzazione e il 6% in meno di rientrare in ospedale per altri problemi.
Anche rispetto all’attività fisica svolta dai pazienti, in media una distanza di 4 chilometri al giorno, gli ottimisti si sono dimostrati più attivi dei loro coetanei ‘pessimisti’.
L’ottimismo, sottolineano gli autori, è uno stato mentale che “si concentra sulle aspettative future” ed è “più orientato all’azione, dando la sensazione che si può fare qualcosa per raggiungere un obiettivo, cosa che può promuovere cambiamenti positivi nei comportamenti legati alla salute”.
“Stress e depressione nei pazienti cardiaci sono stati indagati a lungo in cardiologia, ma… aumentare l’ottimismo può essere altrettanto importante che scacciare la depressione”.
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