L’osteoporosi definisce la situazione di indebolimento della matrice ossea, con demineralizzazione progressiva dello scheletro, confermata da una riduzione della densità ossea. È all’origine di fratture spontanee o derivanti da traumatismi minimi.
Come abbiamo visto, la matrice ossea deve essere perpetuamente rigenerata nel corso di tutta la nostra esistenza. Tale fenomeno, definito rimaneggiamento osseo ha luogo in unità di rimodellamento di un diametro di circa 100 micron.
Il processo ha luogo in cicli successivi, comprendenti una fase di distruzione ossea della durata di 10-15 giorni, seguita da una fase di formazione ossea che dura circa tre mesi. Il rapporto tra la struttura ossea distrutta e quella formata costituisce il bilancio osseo.
I cicli di rimaneggiamento sono cinque volte più rapidi nell’osso spugnoso che in quello corticale. È per tale motivo che l’osso spugnoso è più sensibile di quello corticale all’osteoporosi, che si manifesta in primo luogo laddove tale tessuto osseo abbonda: collo del femore, vertebre, polsi.
Con l’invecchiamento, la quantità di materia ossea formata in ogni ciclo di rimaneggiamento diminuisce progressivamente e il bilancio osseo si fa deficitario. Il fenomeno che definiamo osteoporosi s’insedia lentamente, nel corso di tutta l’esistenza, e riguarda tanto la struttura ossea spugnosa quanto quella corticale. Questo genere d’osteoporosi si manifesta tanto nell’uomo quanto nella donna, tipicamente dopo i 70 anni.
Essa è dovuta principalmente alla riduzione dell’assimilazione intestinale di calcio, alla riduzione dell’attività degli osteoblasti e a un deficit di vitamina D. Si tratta dell’osteoporosi di tipo II, ovvero l’osteoporosi senile. È responsabile soprattutto di fratture del collo del femore.
Nel corso della menopausa il bilancio osseo si fa ancor più deficitario e sopravviene un’accelerazione della frequenza di attivazione dei cicli di rimaneggiamento contemporaneamente a una riduzione dell’attività osteoblastica. Ciò induce a un’osteoporosi accelerata che riguarda principalmente l’osso spugnoso. È questa l’osteoporosi di tipo I, che si manifesta abitualmente nei dieci anni successivi alla menopausa. Sarebbe dovuta alla carenza di estrogeni. Ne derivano cedimenti vertebrali e fratture del polso.
Oltre alla diminuzione di estrogeni, intervengono anche altri fattori, come quelli costituzionali (peso, massa ossea), la riduzione dell’attività fisica e l’insufficienza dell’apporto calcico.
Ci sono poi osteoporosi secondarie, dovute ad altre patologie, tra le quali:
– I disordini endocrini: diabete insulino-dipendente, ipertiroidismo, ipercorticismo (ghiandole surrenali), iperparatiroidismo.
– Le patologie generiche come la poliartrite reumatoide, i mielomi, osteopatologie congenite eccetera.
– I disordini nutrizionali: malassorbimento, alcolismo cronico eccetera.
Fratture e classi sociali. Siamo tutti egualmente esposti all’osteoporosi?
È un interrogativo che dobbiamo necessariamente porci, visto che pare che l’incidenza di tale patologia sia assai variabile da un individuo all’altro. Per meglio comprenderne le cause, sono stati effettuati studi epidemiologici.
Da circa una cinquantina d’anni, nel mondo intero, si constata che l’incidenza delle fratture non cessa d’aumentare nelle popolazioni studiate, per esempio in Europa settentrionale dallo 0,8% al 3% annuo.
Tra le spiegazioni fornite, occorre sottolineare:
– una maggior sedentarietà: ci si sposta sempre più in auto, non si va più a piedi o in bicicletta, si resta ore e ore incollati alla televisione, molti lavori manuali sono fatti da macchine, si lavora più in ufficio eccetera.
– I cambiamenti nutrizionali: con l’industrializzazione dell’alimentazione, che risale ormai a una quarantina d’anni fa, abbiamo assistito al manifestarsi di carenze, variazioni nel consumo di determinati prodotti (alcol, caffè), effetti ritardati delle privazioni subite nel corso della guerra eccetera.
– Un miglior sistema di raccolta dati.
Questi studi si concentrano fondamentalmente sulle fratture del collo del femore, giacché in virtù dell’invalidità che producono, sono le più facili da evidenziare.
L’incidenza delle fratture vertebrali è meno evidente, poiché passano spesso inosservate e il fastidio che producono è minimo. È infatti raro che generino dolore e spesso l’unica cosa che si può constatare è una diminuzione della statura. È peraltro difficile distinguere tale riduzione dagli effetti della deformazione vertebrale fisiologica che, dal canto suo, può essere reversibile! È questa la ragione per cui tali fratture sono più facilmente evidenziate attraverso le radiografie. La loro incidenza sembra peraltro essere sovrapponibile, almeno in alcuni casi, a quella di una frattura del collo del femore.
LE DISUGUAGLIANZE
Ce ne sono diverse:
– Uomini/Donne
In Francia le donne sono più esposte al rischio di frattura del collo del femore, in misura da tre a quattro volte superiore agli uomini. Peraltro, tenendo conto della speranza di vita superiore delle donne francesi (80 anni rispetto ai 73 degli uomini), la probabilità che una donna subisca una frattura del collo del femore nel corso della sua esistenza è di circa il 5%, rispetto al solo 2% degli uomini.
Il rischio è variabile a seconda dei paesi, e per esempio, in rapporto agli uomini, le donne patiscono un rischio doppio in Finlandia, quadruplo in Gran Bretagna ma identico a Singapore. La stessa disuguaglianza tra i due sessi si ritrova per quanto concerne le fratture vertebrali e quelle del polso (Rochester, Minnesota, USA, 1985-1989).
– Neri, bianchi e asiatici
La razza bianca è considerevolmente più esposta alle fratture del collo del femore rispetto ai neri e agli asiatici. Tale differenza può essere meglio apprezzata nei paesi in cui coabitano diverse razze, come gli Stati Uniti e il Sudafrica. Anche in questo caso, la disuguaglianza viene evidenziata anche dalle fratture vertebrali.
– Nord/Sud
Nel contesto della stessa razza, è possibile constatare grandi disparità tra le popolazioni del Nord e quelle del Sud. Per esempio, in Europa settentrionale si constata che gli abitanti di paesi come la Norvegia, la Svezia e la Danimarca sono due volte più esposti alla fratture del collo del femore rispetto alla popolazione della Svizzera o della Francia. Almeno in quest’occasione, è bello essere tra gli ultimi d’Europa!
– Alimentazione industriale e tradizionale
Nel contesto dello stesso gruppo razziale, è preferibile abitare in paesi in cui l’alimentazione tradizionale prevale sull’alimentazione industriale. Per esempio, per un asiatico è meglio abitare a Singapore che a Hong-Kong, dove il rischio è raddoppiato. E se poi il soggetto in questione abita negli Stati Uniti, il rischio si moltiplica per cinque!
– Città/Campagna
In Francia, come del resto in Norvegia, in Svezia, negli Stati Uniti o in Canada, si è notato che le donne che vivono nelle grandi città e negli agglomerati urbani corrono maggiori rischi di frattura del collo del femore rispetto a quelle che vivono in campagna. Tale differenza è giustificata dal fatto che chi vive in campagna mantiene un’attività fisica più regolare e più intensa di chi vive in città, oltre a beneficiare di uno stress inferiore e di alimenti più freschi originari e locali, il che costituisce un fattore riconosciuto di maggior longevità.
– Altre differenze
Sono parimenti pregiudizievoli:
– eccessiva magrezza o anoressia.
– Assunzione di cortisone o di ormoni tiroidei.
– Tabagismo e consumo d’alcol.
– Immobilizzazione troppo prolungata.
– Menopausa precoce.

Incidenza delle fratture del collo del femore nelle donne di età
superiore ai 60 anni in funzione dei paesi e delle razze (tratto da
Ostéoporose, Stratégie de prévention et de traitement, perizia medica
effettuata dall’INSERM).
>>> Estratto da “Osteoporosi” di Philip Kéros
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