Tra i vari componenti delle piante, gli oli essenziali sono forse quelli più sfruttati, perché racchiudono in loro lo “spirito” della pianta di appartenenza. Il loro utilizzo su larga scala risale all’inizio del secolo scorso, sia in ambiti lavorativi che domestici. I più comuni sono quelli ricavati dai fiori o dalle foglie, sfruttati prevalentemente in profumeria, mentre quelli ricavati dai frutti trovano un maggiore impiego in ambito alimentare. Ma cerchiamo prima di tutto di capire di cosa stiamo parlando.
1. Composizione
Potremo definire l’olio essenziale come un estratto fitochimico altamente selettivo, prodotto a partire da materia prima vegetale (spesso aromatica), attraverso processi di distillazione o meccanici. Sono infatti miscele molto complesse formate in prevalenza da molecole organiche quali terpeni, fenilpropanoidi (derivati dell’acido shikimico) e numerosi prodotti derivanti dal metabolismo di acidi grassi e amminoacidi.
Definire la precisa composizione di un olio essenziale è un procedimento molto complesso, sia perché sono richieste apparecchiature analitiche (come la gas-cromatografia) molto costose e non accessibili ai più, sia per il grandissimo numero di molecole che li compongono.
Altri fattori che ne determinano la variabilità compositiva sono:
1. L’esistenza di chemotipi, ovvero molecole biologiche prodotte in seguito all’adattamento a varie condizioni ambientali in cui la stessa specie può trovarsi a crescere; questi prodotti consentono alla pianta di resistere a malattie, difendersi dai patogeni, o di sfruttare al meglio il terreno circostante [1]. È per questo quindi che sebbene due piante della stessa specie esteriormente possano sembrare uguali (possiedono le stesso feotipo), da un punto di vista della composizione chimica (e quindi dei loro effetti terapeutici) potrebbero invece essere molto diverse.
2. L’influenza delle procedure di ottenimento, che, oltre ad incidere sulla variabilità, sono determinanti per la resa finale del processo di estrazione dell’olio. Non tutte le piante producono grandi quantità di olio essenziale, e non in tutte è semplice riuscire ad ottenerlo; passiamo dai chiodi di garofano, che ne possiedono una quantità così elevata che basta incidere la droga essiccata per vederlo fuoriuscire, alla melissa, che possiede una resa così bassa (circa 0,02%) tanto che nella maggior parte dei casi non viene venduto l’olio estratto dalla pianta ma quello ricostruito in laboratorio.
2. Perché vengono prodotti dalla pianta?
Prima di capire quale sia l’azione di un olio essenziale (e quindi il suo corretto utilizzo), è interessante comprendere perché questi vengano prodotti dalla pianta. Quest’argomento è stato a lungo dibattuto, e tuttora non trova una conclusione definitiva. Le ipotesi più accreditate sono che sia:
– Un mezzo di difesa della pianta prodotto in seguito ad “aggressioni” esterne da parte di batteri, funghi, microrganismi infestanti, insetti o animali erbivori.
– Un aiuto per favorire lo sviluppo vegetativo della pianta, promuovendo l’impollinazione e quindi attirando api e altri insetti.
– Un sistema di sopravvivenza in ambienti particolarmente ostici e per prevenire la disidratazione in ambienti secchi, andando a ricoprire le foglie e limitando così la perdita d’acqua.
3. Proprietà farmacologiche
Altra caratteristica degli oli essenziali (assai comune nel mondo dei preparati vegetali) è che non è possibile stabilire con certezza quale sia il principio attivo responsabile dell’azione farmacologica, in quanto i vari componenti agiscono in sinergia tra di loro in modo che l’azione complessiva dell’olio sia molto maggiore rispetto a quella dei singoli componenti. Arriviamo quindi ad introdurre il concetto di fitocomplesso, inteso come l’unione dei principi attivi estratti o derivati da una pianta medicinale, responsabile di una specifica attività biologica.
Questa è una delle differenze più grandi tra il farmaco, a cui corrisponde un principio attivo in una dose ben definita, e il rimedio vegetale, che contiene numerosi principi attivi in concentrazioni variabili. In quest’ultimo caso è stato introdotto un ulteriore concetto, quello di titolo (che corrisponde alla concentrazione) del principio attivo maggiormente presente nel composto.
Le principali proprietà biologiche e farmacologiche attribuite agli oli essenziali sono: antimicrobica, espettorate, rubefacente, spasmolitica, modulatrice del SNC (Sistema Nervoso Centrale), insetticida/repellente, carminativa, digestiva, analgesica locale, antinfiammatoria, antiossidante.
I virus sono i microrganismi meno colpiti perché possiedono una struttura molto semplice; al contrario i batteri sono quelli che risentono di più della loro azione, in quanto la loro membrana viene sistematicamente fatta a pezzi.
4. Utilizzi e Vie di somministrazione
Il modo di assunzione preferenziale di un olio essenziale è la via olfattiva, attraverso la quale possono raggiungere i centri nervosi (SNC) ed esplicare così la loro azione. Le applicazioni sono molteplici, e vengono ampliamente sfruttate nella pratica dell’aromaterapia.
Non meno efficace è l’assorbimento per via cutanea, perché, essendo l’olio essenziale formato principalmente da molecole di natura lipofila (grassi), esse riescono a penetrare con relativa facilità la barriera naturale della cute, ed entrare direttamente nel torrente circolatorio. Trovano quindi largo impiego in applicazioni quali unzioni, frizioni, massaggi..
Possono essere assunti o applicati puri, ma molto spesso vengono diluiti con altri oli vegetali, definiti “veicolanti” (ad esempio l’olio di mandorle, nel caso di massaggi).
5. Precauzioni
Tra tutte le branche della medicina naturale, l’utilizzo degli oli essenziali è forse la pratica più rischiosa; non dobbiamo dimenticare infatti che sono sostanze molto concentrate, che possono contenere composti potenzialmente tossici.
È buona norma quindi non applicarlo mai puro direttamente sulla pelle, in quanto potrebbe dar luogo a gravi reazioni allergiche, o comunque provocare irritazioni cutanee più o meno gravi. Particolare attenzione deve essere presa anche nel caso di somministrazione in soggetti allergici, nei bambini, nelle donne in gravidanza e durante l’allattamento.
L’utilizzo per via interna (orale) dovrebbe comunque essere effettuato informando il proprio medico.
6. Garanzie di qualità del prodotto
Al fine di consumare un prodotto quanto più puro possibile, è buona norma osservare una serie di piccoli accorgimenti che possono fungere da indicatori della qualità del prodotto che andiamo ad acquistare. Per far questo andiamo ad analizzare l’unica “scheda tecnica” in nostro possesso, l’etichetta! Deve contenere:
– Nome botanico della pianta [2]
– Parte della pianta utilizzata
– Tipo di estrazione usata
– Provenienza
– Data di distillazione/scadenza
– Eventuali avvertenze
– Chiusura a prova di bambino
Tutte queste informazioni ci permettono indicativamente di stabilire la serietà dell’azienda produttrice dell’olio, quindi in un certo senso la qualità dello stesso! Un’azienda seria che vuole costruirsi e mantenere un certo nome, non avrà nessun interesse a commerciare un prodotto scadente, perché questo andrebbe ad influire anche su tutti gli altri suoi articoli.
Ovviamente un livello di sicurezza migliore si raggiungerebbe eseguendo un’analisi chimica sui componenti dell’olio, fatto però improponibile per un consumatore sia per il costo dell’analisi che per le conoscenze di base necessarie per interpretarlo.
Bibliografia
Capasso F., Grandolini G., Izzo A.A., Fitoterapia – Impiego razionale delle droghe vegetali, (2006) Springer
Maugini E., Malecini Bini L., Mariotti Lippi M., Manuale di botanica farmaceutica VIII Edizione, (2006) Piccin
Perugini Billi F., Introduzione all’aromaterapia
Riva E., L’universo delle piante medicinali I edizione, (1995) Ghedina & Tassotti editori
www.oli-essenziali.it
[1] – È il caso della noce, nel cui mallo (rivestimento carnoso esterno) è contenuta una molecola, lo juglone, che non fa crescere altri alberi vicino al suo fusto, così che la pianta non resti “soffocata”.
[2] – Il nome botanico di una pianta deve seguire una forma di scrittura molto rigorosa codificata da organismi internazionali; prendendo ad esempio la lavanda, la dicitura corretta è: Lavandula officinalis Miller. Il genere (Lavandula) deve essere indicato con la lettera maiuscola, la specie (officinalis) con la minuscola, ed entrambi generalmente devono essere in corsivo. Al nome deve poi seguire quello dello scopritore, anch’esso in maiuscolo.
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