Mente e dintorni

Sento di colpo un terribile urlo che mi fa rabbrividire e, un attimo dopo, mi trovo di fronte il volto disperato di un dolcissimo bambino che sta per esplodere in un pianto. In un primo momento mi dispiace che sia stato sgridato e, immediatamente dopo, mi assale una sensazione di rabbia nei confronti della persona che ha perso il controllo e che lo ha sgridato così violentemente.

Purtroppo però quella persona impaziente e poco simpatica sono io. Com’è possibile che succeda a me? Sono profondamente contraria a qualsiasi forma aggressiva di educazione e mi considero una persona piuttosto paziente e positiva. E in più sono una psicologa che lavora quotidianamente con le persone per aiutarle a ridurre lo stress e gestire meglio le proprie emozioni. Non dovrei essere io la prima a non cader nella trappola dell’ansia e della rabbia? Dopo l’ondata di collera e le successive sensazioni di colpa, la mia mente finalmente esce dalla nebbia.

Prendo mio figlio in braccio e gli spiego che sono stanca, che mi dispiace e che speravo facesse quello che aveva promesso. Quello che ancora non posso spiegargli – o solo con scarso successo – è che il mio controllo è stato per un attimo preso in mano da qualcosa che si chiama neurocezione, una percezione inconscia di pericolo e minaccia che innesca una serie di comportamenti, piuttosto standardizzati, detti biocomportamenti. E’ un po’come se un pilota automatico correggesse i movimenti dell’aereo quando vengono registrate condizioni di pericolo, ancora prima che il comandante stesso si possa rendere conto di cosa sta accadendo. La neurocezione è un meccanismo neuro-comportamentale antico, emerso negli animali per permettere loro di aggredire o fuggire rapidamente quando viene percepito, anche a livello inconscio, un pericolo o una minaccia.

La fatica della giornata ed il mal di testa mi hanno bloccato quella quantità di attenzione minima necessaria per realizzare che il biocomportamento aggressivo, indotto dalla mia neurocezione, non era quello più adatto a convincere mio figlio ad indossare il pigiama. In altre parole ho involontariamente permesso che si accendesse il mio pilota automatico che a sua volta mi ha imposto di “attaccare” la minaccia che avevo davanti, non curandosi affatto di modulare la risposta visto che si trattava non di un pericolo, ma di un bambino di tre anni. Così il programma automatico ha causato sia in me che in mio figlio tachicardia, ipertensione, tensione muscolare e un inutile dispendio di energia.

In poche parole ci ha messo in condizioni di stress, cosa che, se si ripete troppo spesso, è in grado di far alterare profondamente la nostra salute. Tuttavia si può evitare o rallentare la procedura automatica in modo da tenere o riprendere in fretta il controllo manuale del nostro comportamento. La strategia di scelta per questo compito è una gestione consapevole della propria attenzione. Vecchi trucchi, come il concentrarsi sul respirare 2-3 volte profondamente con l’addome, possono interrompere il meccanismo automatico e far subentrare nuovamente la ragione riducendo così l’agitazione.

Ma per non perdere proprio il controllo manuale, visto che il pilota automatico ci può mandare diritto in mezzo alle turbolenze, ancora meglio sarebbe stato se mi fossi concentrata sui fattori privi di minaccia presenti in quella particolare situazione come per esempio la dolcezza di mio figlio e il fatto che un rifiuto del pigiama fa parte del diventare una persona autonoma.

Fonte: Virtuose

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