La vita è movimento – tratto da ‘Manuale di Osteopatia’

Estratto del primo capitolo del libro “Manuale di Osteopatia” di Contigliani, Marasco. Il libro è disponibile in formato cartaceo ed ebook cliccando qui

1.1 LA VITA E’ MOVIMENTO

Nei grandi personaggi che caratterizzano la storia delle scienze è facile trovare quel “qualcosa” che li accomuna nell’intuizione del “cosa sia” e del “come funzioni” un qualsivoglia oggetto di studio.

Per l’uomo nello specifico, ma in generale per ogni essere vivente, è incredibile osservare quanti punti di comune intuizione si riscontrino tra Leonardo da Vinci e Andrew Taylor Still.

Di Leonardo si conosce tantissimo: grande genio dell’umanità, incredibile inventore, ingegnere, architetto, grande artista, anatomista; sappiamo che ha avuto per tutta la vita una “fame insaziabile” di sapere. Soprattutto in medicina ha portato un’autentica rivoluzione, prima del suo avvento l’anatomia era addirittura ferma agli studi di Galeno, il medico greco vissuto tra il 131 e il 201 d.C.; possiamo quindi dire che di fatto l’anatomia nasce con Leonardo (unitamente al Vesalio).

Le innovazioni nella disciplina anatomica si devono certamente alla capacità leonardesca nell’intuire e nel disegnare ma, soprattutto, alle numerose dissezioni che Leonardo eseguì a Milano e Firenze.

Andrew Taylor Still, medico americano di fine Ottocento, è un altro genio della nostra umanità anche se molto meno conosciuto; della sua storia ci occuperemo in seguito. Con Leonardo condivide quella incolmabile voglia di sapere scientifico, di capire più a fondo possibile i perché delle cose senza fermarsi a ciò che è dato per assodato. Al pari del genio italiano, è un bambino che non resiste all’aprire il giocattolo che ama per guardarci dentro. Anche per Still la dissezione dei cadaveri è la base delle scienze mediche. Proprio come Leonardo che, dalle dissezioni, portò contributi importanti alla comprensione dell’apparato muscolo scheletrico o alla scoperta della retina e del nervo ottico, per citare degli esempi, altrettanto, Still intuì i meccanismi che portano un organismo ad ammalarsi, partendo dai numerosi cadaveri studiati fino ai dettagli più nascosti.

Tra la nascita di Leonardo (15 aprile 1496 a Vinci nei pressi di Firenze) e quella di Still (6 agosto 1828 in Virginia, Stati Uniti) passano oltre trecento anni, ma entrambi mostrano una sorprendente e comune visione d’insieme e di unità funzionale dell’essere umano.

Tanto il maestro fiorentino, quanto il “Vecchio Dottore” americano, percepiscono la fondamentale importanza del movimento per la vita e inoltre intendono l’uomo come una macchina (“macchina perfetta” è infatti un’espressione spesso utilizzata da entrambi pensando al corpo umano).

Tra le tante acute osservazioni che ci ha lasciato il grande Leonardo da Vinci, una, in particolare, si erge a colonna portante, seppur poco riconosciuta nel suo valore, delle tante costruzioni scientifiche che, secoli dopo, caratterizzarono l’opera del fondatore dell’osteopatia: “Il moto è causa di ogni vita“.

Già, anche il sommo Leonardo, che analogamente a Stili in tutta la sua vita fu “ossessionato” dai “perché” che dirigono ogni evento, ebbe particolarmente a cuore il tema del movimento, del moto e della sua relazione con la vita.

E con il termine “moto“, da Vinci non fa riferimento al solo significato fisico, ma addirittura intende anche qualcosa di più spirituale, in perfetta sintonia con la sua epoca.

È particolarmente affascinante, infatti, la definizione che lo scienziato italiano ci fornisce a proposito della forza: «Forza dico essere una virtù spirituale, una potenza invisibile, la quale per accidentale, esterna violenza è causata dal moto e collocata e infusa ne’ corpi…».

Anche Still è “ossessionato” dal moto, dal corretto movimento. Vede la malattia come un effetto di un’ostruzione vascolare, di una compressione nervosa, di ogni qualcosa che possa interferire con i normali flussi (di qualunque natura essi siano) dell’essere vivente.

Il moto dei flussi non è l’unica “ossessione” di Still e dell’osteopatia. La semplice perdita di quantità o di qualità del movimento della fascia o di un viscere o di un giunto articolare, che sia una vertebra o un osso cranico o un’anca poco importa, acquista un valore importante nell’economia di una diagnosi e poi di un trattamento osteopatico. Ma di questo se ne parlerà in modo approfondito nel prosieguo del testo.

Leonardo era un ingegnere. Still cita continuamente l’assonanza del medico con l’ingegnere (pensando al corpo come una macchina) che debba verificare l’allineamento delle cinghie di un motore, la libertà della circolazione dei fluidi lubrificanti o di quelli della carburazione e tutto il resto che possa interferire con l’efficacia del motore stesso.

Se pertanto Still è certamente il padre dell’osteopatia, Leonardo probabilmente rappresenta un ispiratore inconsapevole.

1.1. Il moto per l’osteopatia

Abbiamo, in precedenza, accennato al tema dell’intimo rapporto tra movimento e osteopatia; le righe che seguono ne approfondiranno i contenuti.

Vogliamo riportare un simpatico aforisma di un affermato e noto neurologo, responsabile universitario, che ormai da anni, ha contatti con il mondo dell’osteopatia. Egli ha definito gli osteopati, ancor prima di conoscere l’opera di Still, come quelli “fissati per la mobilità“. L’affermazione, pur se fatta in tono allegorico, di fatto racchiude una delle prime essenze per capire cosa sia l’osteopatia.

Se pensiamo agli esseri viventi della specie animale vediamo come questi siano caratterizzati da una struttura scheletrica che funge da supporto, una sorta di telaio, di carrozzeria. Negli insetti questa struttura è esterna mentre nei vertebrati, come l’uomo, è interna. Esistono poi vari insiemi di “dispositivi” (organi, muscoli, vasi, nervi, liquidi) che, per poter funzionare correttamente, devono poter scorrere gli uni rispetto agli altri e rispetto alla struttura portante.

Questa è la differenza sostanziale rispetto alle forme di vita del mondo vegetale: l’evoluzione è passata anche attraverso la possibilità di muoversi all’interno dell’ambiente di vita per soddisfare una migliore possibilità di sopravvivenza e di evoluzione della specie; con il movimento l’organismo deve dotarsi di un’organizzazione della struttura completamente diversa rispetto ad una pianta. L’enorme sforzo di evolversi verso la complessità è ripagato dalla possibilità di subire meno gli insulti dell’ambiente: una pianta resiste fino ad un certo punto alla mancanza d’acqua per poi seccare, quindi morire; l’animale, prima di abbandonare la vita, gioca la carta della migrazione alla ricerca della pozza che possa dissetarlo. Può farlo perché è dotato di una struttura votata alla dinamica rispetto alla struttura pressoché statica del vegetale.

La necessità di muoversi e il come muoversi implicano tuttavia una sofisticazione (non da poco) della struttura che cresce con il livello evolutivo dei dispositivi che compongono l’organismo.

Sappiamo come una vettura possa perdere quell’efficienza nella lubrificazione dei suoi congegni interni. È anche possibile perdere quell’allineamento perfetto degli elementi di trasmissione del movimento (cinghie, catene eccetera) in quei casi in cui l’auto abbia subito un incidente, oppure se è vecchia e con molti chilometri percorsi. Allo stesso modo un corpo umano rallenta le sue funzioni sia globalmente, per il passare degli anni, sia settorialmente in conseguenza di traumatismi, vizi po-sturali, cicatrici o esiti di malattie importanti.

Ma se parliamo di rallentamento delle funzioni, abbiamo già nella terminologia un riferimento a una perdita di movimento, all’interno della struttura (rallentare significa ridurre la velocità quindi abbassare la quantità di moto).

Cerchiamo, adesso, di entrare più dettagliatamente nel significato di quanto espresso sinora. Prendiamo come esempio la respirazione che è l’atto più rappresentativo del vivere: il primo pianto appena nasciamo “accende”, fa da starter, al meccanismo polmonare e la vita cessa quando si esala l’ultimo respiro.

Nell’ambito della funzione respiratoria potremmo utilizzare come esempio la pleura che è la membrana che riveste i polmoni. Essa è composta da due foglietti, uno esterno (o parietale) e uno interno (o viscerale). Durante la respirazione, la necessità interna di movimento è elevata, infatti la pleura parietale deve scorrere liberamente all’interno della griglia costale e deve scorrere rispetto alla membrana di rivestimento del cuore, il pericardio. I due foglietti pleurici devono inoltre poter scorrere uno sull’altro per adattare la modificazione dei volumi della gabbia toracica nell’espansione e nella riduzione polmonare.

Immaginiamo ora una situazione particolare per cui questa funzionalità del movimento pleurico appena descritto vada a bloccarsi in un punto qualsiasi del sistema, per un qualsiasi motivo (la causa verosimile potrebbe essere l’esito di una pleurite). Sarà inevitabile prevedere che quell’organismo, per non trovarsi con una ridotta capacità di ossigenazione del sangue derivante da una riduzione del movimento a stantuffo dei polmoni, tenterà di compensare con un movimento amplificato in un altro punto del sistema che potrebbe essere, ad esempio, l’incremento della respirazione accessoria prodotta dai muscoli del rachide cervicale. Finché un sistema, composto da così tante parti e sottosistemi, riuscirà a compensare delle restrizioni di movimento con ipermovimenti in altre parti si avrà, complessivamente, la salute dell’organismo ma, probabilmente, la zona di compensazione che è sotto stress è la prima indiziata a potenziali sofferenze (soprattutto manifestando il dolore che, vogliamo sottolineare questo concetto, non è della sede in restrizione di movimento).

Nel caso sopraccitato si potrebbero usare altre parole e dire che una pleurite, una volta guarita, lascia molto spesso delle cicatrici aderenti e che queste potrebbero essere l’elemento che determina un maggior lavoro della muscolatura cervicale, come muscoli accessori (o coadiuvanti in situazioni di emergenza) alla respirazione. Tutto questo porta ad una cervicalgia generata da una restrizione pleurica. L’osteopata cercherà di far passare l’algia cervicale trattando la pleura in restrizione.

È proprio in questa direzione che si orienta il ragionamento clinico di un osteo-pata di fronte ad un paziente: cercare ciò che è bloccato, cioè una restrizione, ciò che non scorre bene rispetto ad una struttura contigua, un’ostruzione parziale di un vaso sanguigno. Sostanzialmente cercare quella struttura che per prima ha perso la libertà di movimento originando una catena di scompensi e relativi tentativi di compensazione. Chiaramente una volta individuata la struttura “primaria” sarà proprio questa l’oggetto delle tecniche principali per liberarla dalle restrizioni. È un ragionamento completamente diverso dalla medicina tradizionale, e tendenzialmente specialistica, che è allopatica ossia tesa all’eliminazione del sintomo.

Per capirci meglio, ritorniamo all’esempio di poc’anzi sulla cervicalgia. Il trattamento medico tradizionale davanti ad un dolore cervicale è, classicamente, l’antinfiammatorio ad azione locale (cerotto, pomata o iniezioni), oppure l’azione decontratturante sulla muscolatura (farmaci e pomate miorilassanti o massaggi locali). Se la cervicalgia fosse generata dall’esito di una pleurite, come nell’esempio, l’osteopata tratterà comunque la cervicale ma unitamente a tecniche per la liberazione del movimento pleurico.

Non vorremmo, tuttavia, che il lettore abbia inteso la più volte menzionata “perdita di movimento” come un deficit della sola quantità di movimento. In osteopatia la diagnosi verte tanto sul dato quantitativo ma, con pari importanza, anche su quello qualitativo (l’osteopata utilizza le sue mani per sentire quanto movimento è stato perso e come è la risposta del tessuto in esame alle sollecitazioni dinamiche).

In sintesi: gli organismi viventi e animati di possibilità di movimento possiedono una particolare organizzazione della loro struttura. Ogni parte che compone un corpo è dotata di una sua particolare possibilità di movimento rispetto alle altre parti. Tutto questo è funzionale alla possibilità di un corretto funzionamento dell’intero sistema che, in questo modo, è in grado di salvaguardare la salute generale e delle singole parti.

Ma non è tutto. I singoli elementi dell’organismo, oltre ad avere delle possibilità di movimento, possiedono un’infinità di altri moti che sono ciclici.

Pensiamo, oltre alla respirazione e al battito cardiaco, a ritmi come il battito delle ciglia, oppure alle oltre duemila volte al giorno in cui deglutiamo.

Esistono ancora altri ritmi che iniziano con l’unione fecondante tra lo spermatozoo e l’ovulo e che terminano addirittura dopo la morte. Stiamo parlando del movimento embriologico e dell’”impulso cranico” (conosciuto inoltre con il sinonimo non propriamente corretto di movimento di respirazione primaria: MRP).

I primi osteopati indicavano l’MRP come essenza della vita. Ma del movimento di respirazione parleremo in modo molto specifico nel prosieguo della trattazione.

Prima di procedere è importante chiarire il concetto e le relazioni esistenti tra struttura e funzione.

Vesalio, il padre dell’anatomia moderna

Andreas van Wessel, conosciuto come Andrea del Vesalio, nacque a Bruxelles il 31 dicembre 1514, la sua morte risale al 15 ottobre 1564 sull’isola di Zante. È considerato nel mondo della medicina il fondatore della moderna anatomia. Rispetto a Leonardo la sua opera professionale di medico fu rivolta esclusivamente a questa disciplina. Di Vesalio si potrebbero dire tante cose, quello che segna la portata scientifica di quest’uomo sono le due pubblicazioni passate alla storia: le Tabulae anatomicae sex (Venezia 1538) ma soprattutto il De humani corporis fabrica (Basilea 1543), perfetta sintesi di rigore scientifico e bellezza artistica. E pensare che Vesalio fu processato dall’inquisizione e condannato a morte (in realtà non eseguita in quanto egli morì per malattia) per: «Divulgazione di Ignominiosae atque mentognere idee, contrarie allo senso comune et allo insegnamento et alla professione della vera dottrina medica et officinale ovvero allo sacro et imperscrutabile insegnamento del Cristo, al di fuori della Gratia Divina». Le “Ignominiosae atque mentognere idee” erano riferite all’affermazione del Vesalio di non aver mai trovato una costola mancante nell’anatomia del maschio in tutte le sue autopsie, quella costola con la quale sarebbe stata creata Eva!

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