I LED fanno male?

Nel suo tentativo di uscire dalla crisi energetica, l’umanità tende a fare dell’efficienza e del risparmio i due cardini di qualsiasi strategia di qualsiasi paese, a prescindere dalle risorse di combustibili geologici effettivamente presenti sul proprio territorio. E chi ha meno risorse fa, giustamente, maggiormente appello a questi due comandamenti.

Qualche volta però dietro quelle strategie si annida un nemico nascosto e insidioso, protetto dal tempo troppo breve di sperimentazione delle nuove tecnologie. Il caso dell’amianto valga per tutti: ci sono voluti quarant’anni e un sensibile miglioramento tecnologico per scoprire che quella sostanza, ritenuta all’origine la soluzione di tutti i problemi di isolamento degli edifici e prevenzione dagli incendi, era in realtà gravemente cancerogena.

Se non sai se qualcosa fa male oppure no, astieniti dall’usarla su larga scala fino a che non sei sicuro che sia innocua, recita una delle tante formulazioni del cosidetto principio di precauzione (un principio non fisico o matematico, ma semplicemente di buon senso, cui anche gli scienziati più sensibili ormai si attengono).

“Le lampade con LED a luce rossa di bassa intensità, liberate dal loro involucro, contengono fino a otto volte più piombo di quanto la legge consenta”, sostiene un recente studio di Seong-Rin Lim dell’Universitè della California a Davis e altri autori; “quelle a luce bianca contengono troppo nichel, per non parlare dell’arsenico e di dozzine di altre sostanze tossiche”.

Queste sostanze presentano un rischio gravissimo per la salute degli uomini e dei viventi in genere, dai tumori all’ipertensione, a danni a carico del sistema nervoso o della pelle. Anche se ciò non significa contrarre un cancro ogni volta che si rompe una lampada a LED, il fatto di essere già esposti a decine di altri inquinanti in ogni azione della vita quotidiana nelle aree metropolitane o industriali può amplificarne le conseguenze.

Per ridurre comunque il rischio di avvelenamento si dovrebbe evitare le lampade a diodi eventualmente rotte e anche di inspirare nelle vicinanze. E così un’altra preoccupazione si annida dietro una tecnologia che sembrava aver contribuito a risolvere un problema annoso. Forse non sbaglia chi sostiene che il problema dell’antropocene (l’epoca in cui viviamo, segnata dall’intervento dell’uomo sul pianeta) è culturale piuttosto che tecnologico, essendo le tecnologie rivolte perlopiù a risolvere i problemi scaturiti dalle tecnologie applicate in precedenza.

Fonte: National Geographic

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