Latte artificiale: pressioni (e crimini) di un mercato miliardario

NESTLÉ, HUMANA, DANONE: sono poche le multinazionali che si spartiscono il mercato del latte artificiale. Un giro d’affari di qualche centinaio di milioni di euro solo in Italia e di parecchi miliardi nel resto del mondo.

Un’industria che negli anni ha attirato forti critiche: in Occidente, per le pressioni affinché alle neomamme vengano consigliati i sostituti del latte materno. Nei Paesi in via di sviluppo per i rischi che l’utilizzo del latte artificiale comporta a livello sanitario. «Naturalmente i sostituti hanno una loro utilità – spiega Leonardo Speri, coordinatore della task force di Unicef Italia per l’allattamento materno – quando in effetti il latte della madre manca. Tuttavia molto spesso in situazioni di difficoltà, in particolar modo nell’Africa sub sahariana, vengono diluiti fortemente e mescolati con acqua contaminata, contribuendo alla mortalità infantile».

Nel Sud del mondo meno della metà dei bambini, secondo l’ultimo monitoraggio Unicef, riceve i benefici dell’allattamento al seno fino al sesto mese. Una pratica che potenzialmente potrebbe ridurre la mortalità infantile sotto i cinque anni del 19%. La commercializzazione dei sostituti è regolamentata da un codice approvato nel 1981 dall’assemblea mondiale della Salute, che però viene recepito a macchia di leopardo. «In Italia – continua Speri – effettivamente devo testimoniare io stesso che le pressioni, magari tramite donazioni di latte o regali, nei confronti di pediatri e ospedali esistono. Capita tra l’altro che il consumo di un certo latte venga indicato persino nella cartella di dimissioni dall’istituto».

A livello nutrizionale, spiega il medico, «il latte materno è superiore a quello artificiale, questo è più o meno condiviso dalla comunità scientifica. E bisogna considerare che quasi tutti gli studi sul latte in polvere sono finanziati dalle stesse case produttrici». Il forte consumo di sostituti, spiega la dottoressa Chiara Pozzi Perteghella, farmacista molto attiva sul fronte dell’allattamento materno, «almeno in Italia è il prodotto di anni e anni di promozione dell’immagine di una madre indipendente, che vive l’allattamento come un peso». E i risultati si vedono, in termini di vendite e di prezzi.

«Il latte in polvere – spiega la dottoressa – sul bilancio di una famiglia può pesare intorno ai 1.500 euro annui. Paradossalmente a ritornare all’allattamento naturale sono invece le classi più agiate, con un più alto livello culturale e con maggiori possibilità di reperire informazioni adeguate».

Fonte: valori

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