Come l’ipermedicalizzazione fa male alla salute

Quasi 400 fra pratiche mediche, terapie e dispositivi sono in realtà dei ‘medical reversals’, ovvero delle azioni che non portano alcun beneficio rispetto agli standard precedenti. È quanto emerge da uno studio dell’università dell’Oregon pubblicato dalla rivista eLife, secondo cui l’abbandono di queste pratiche andrebbe a vantaggio dei pazienti e delle casse dei servizi sanitari.

Gli studiosi hanno cercato tutti gli articoli su test randomizzati condotti per confrontare pratiche appena adottate con le precedenti, pubblicati negli ultimi 15 anni dalle riviste Jama, Lancet e New England Journal of Medicine. Dopo aver revisionato oltre 3mila articoli sono emersi 396 ‘reversal’, in tutti i campi della medicina, con le malattie cardiovascolari che sono risultate le più rappresentate (20%). In termini di tipo di intervento i farmaci sono risultati i più comuni (33%) , seguiti dalle procedure mediche (20%) e dall’uso di vitamine e supplementi (13%).

Tra le pratiche considerate inutili ce ne sono tra le più disparate: dall’uso delle calze compressive dopo un ictus per evitare trombosi alle gambe alla terapia cognitiva contro l’insonnia a diversi farmaci entrati nella pratica comune.

“Ci sono diverse lezioni che possiamo trarre dai nostri risultati – concludono gli autori – compresa l’importanza di condurre test sui medical reversal per nuove pratiche oltre che per quelle già assodate. Una volta che una pratica inefficace entra nell’uso comune potrebbe essere difficile convincere i medici ad abbandonarla”.

Lo studio rientra nel più grande dibattito sulla cosiddetta “ipermedicalizzazione”, ovvero la tendenza a sottoporsi a pratiche mediche non strettamente necessarie e ad assumere farmaci anche in caso di malattie lievi.

Gli esami non necessari implicano un notevole impatto economico sui sistemi sanitari e sul reddito dei pazienti: in Italia, ad esempio, è stato stimato che solo il 56 per cento delle prescrizioni di radiografie in ambulatorio è appropriato; non facendole il Servizio sanitario nazionale potrebbe avere un risparmio del 36 per cento sui costi per questo tipo di esami.

Ancor più importante è il fatto che l’ipermedicalizzazione può anche fare male alla salute. Si pensi agli antibiotici, innazitutto, il cui abuso è tra le principali cause dell’antibiotico resistenza https://informasalus.it/it/articoli/antibiotico-resistenza-morti-cancro.php, oggi considerata una minaccia a livello mondiale.

In Italia, secondo le indagini dell’Istituto Superiore di Sanità, tra il 2012 e il 2016 la resistenza agli antibiotici più usati del batterio che solitamente causa la polmonite è stata superiore al 30 per cento, contro una media europea del 6 per cento.

Una tendenza all’eccessiva medicalizzazione si registra anche nel parto e nella gravidanza. Per fare un esempio, nel nostro Paese un bambino su tre nasce con il parto cesareo https://informasalus.it/it/articoli/italia-troppi-parti-cesarei.php.

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