Il significato del ‘Segno’

Il termine segno deriva dal latino ‘signum’ e da ‘secare’ che significa ‘tagliare’. Indica, in generale, qualsiasi oggetto od evento usato come richiamo di altro oggetto od evento.

Questa definizione viene adoperata abitualmente nella tradizione filosofica, è generale e consente di comprendere sotto la nozione di segno ogni possibilità di riferimento. Essa tuttavia, in senso proprio e restrittivo, deve essere assunta come la possibilità del riferimento di un oggetto o evento presente ad un oggetto od evento non presente o la cui presenza o non presenza è indifferente. In questo senso più ristretto, la possibilità d’uso dei segni è la caratteristica fondamentale del comportamento umano, perché consente l’utilizzazione del passato, ossia di ciò che “non è più presente” per la previsione e la progettazione del futuro, ossia di ciò che “non è ancora presente”.

Il terminesemiosiindica il processo in cui qualcosa funziona come segno.

Oggetti, tracce, indizi o sintomi diventano segni in quanto sono interpretati come altre cose, ossia assumono un significato tramite qualcosa che ne fornisce l’interpretazione. L’utilizzazione del termine “interpretazione” non deve far pensare che la semiosi sia necessariamente connessa con il cervello umano, essa è presente nel comportamento animale, in tutto il mondo organico, ma anche nei cristalli e in tutto il mondo inorganico. C. Morris, al fine di spiegare la semiosi, ha utilizzato come esempio la “danza” di un’ape. Questo è un processo semiosico in quanto dà luogo ad interpretazioni, da parte delle altre api, che permettono la localizzazione del cibo.

Affermare che qualcosa ha significato, e che dunque è un segno, equivale a dire che questo qualcosa, detto interpretato, assume un significato tramite qualcos’altro che viene detto interpretante.

Secondo C. S. Peirce, che operava in ambito logico e filosofico ed era interessato ai processi cognitivi, il rapporto minimale che permette che qualcosa sia segno è triadico. Esso comprende:

  • L’oggetto, ossia qualcosa di oggettivo, di preesistente, di autonomo e in questo senso di “materiale” rispetto all’interpretazione.
  • L’interpretato, ossia questo stesso oggetto in quanto avente significato.
  • L’interpretante nel cui rapporto (non esclusivo), l’oggetto riceve un determinato significato.

Il segno, benché presenti queste tre facce, oggetto-interpretato-interpretante, viene indicato come rapporto interpretato-interpretante in quanto l’interpretato implica anche l’oggetto dell’interpretazione.

I segni, a seconda del rapporto tra interpretato e interpretante, vennero classificati da Peirce nei seguenti tipi:

  • Segno iconico, quando il rapporto tra interpretato e interpretante rivela qualche qualità comune.
  • Segno indicale, quando il rapporto tra interpretato e interpretante rivela prevalentemente un rapporto di contiguità e/o di causalità. Sono di questo tipo i sintomi, ad esempio discromia cutanea (interpretato) e malattia epatica (interpretante).
  • Segno simbolico, quando il rapporto tra interpretato e interpretante è regolato prevalentemente da una convenzione.

L’interpretante può limitarsi ad identificare qualcosa, ossia si limita al riconoscimento del segno, oppure può rispondere ad esso, ossia instaura con esso un rapporto di coinvolgimento, di partecipazione, risponde ad esso e prende posizione nei suoi confronti.
In entrambi i casi l’interpretato e l’interpretante sono fra loro in un rapporto di alterità. Tuttavia, quando l’interpretazione si realizza specificatamente come risposta, come accade nei segni del mondo umano, si evidenzia pienamente la caratteristica di ciò che è segno come rapporto dialettico tra interpretante e interpretato, incentrato sulla categoria di alterità.

Tutto ciò che assume significato, e quindi può essere considerato come segno, si trova collocato in una fitta rete di rapporti di tipo interpretato-interpretante. Partendo da ognuno di essi sono possibili vari percorsi interpretativi, alcuni già tracciati, abitualmente seguiti e in certi casi obbligati, altri alternativi, mai battuti ma che si avvalgono dei precedenti come punti di riferimento o come percorsi da costeggiare.

Nel segno, come atto interpretativo che congiunge un interpretato con un interpretante, l’interpretato può essere tanto qualcosa che esiste fisicamente, come un testo scritto o una fonia, quanto un’immagine mentale. Così pure l’interpretante può essere tanto qualcosa di mentale, come quando ascoltando un discorso traduciamo le fonie in immagini mentali, quanto qualcosa di fisico, come quando parlando traduciamo l’immagine mentale di una parola o di un enunciato in una sequenza fonica.

Il significato può essere definito come uno dei percorsi interpretativi che collegano un interpretato a una serie aperta di interpretanti.
Ogni segno è quindi più o meno plurivoco: da uno stesso interpretato si diramano più percorsi interpretativi per specificare il significato secondo cui intenderlo e bisogna indicare in quale direzione procedere a partire da esso e almeno un interpretante che ne fa parte.

Ogni segno, così come ha un significato (interpretante-interpretato esplicito), ha anche un referente (interpretato-interpretante implicito). Il significato è pertanto la parte esplicitata di un percorso interpretativo, mentre il referente ne è la parte sottintesa e ciò a cui si riferisce il significato.

Un segno che impone un unico percorso interpretativo viene indicato con il termine di segnale. I segnali presuppongono un codice, cioè un sistema di regole, rispetto al quale è predeterminato il rapporto tra interpretato e interpretante, che si realizza in maniera quasi meccanica. Inoltre, tutti i segnali hanno una funzione intenzionalmente comunicativa, presuppongono cioè la volontà e l’intenzione di comunicare qualcosa a qualcuno.

Anche i sintomi medici, benché siano privi di intenzionalità comunicativa e non dipendano da un codice, hanno una tipicità, in quanto ripetono determinati tratti distintivi che li rendono identificabili e quindi contengono un margine di segnalità.

L’articolo è stato tratto dal libro della Dr.ssa Gasparini
“Multidisciplinarietà in Medicina”

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