Genetica: effetti dello stress sul materiale genetico

Fino a non molti anni fa si credeva che il patrimonio genetico di un individuo non fosse modificabile da influenze interne ed esterne all’individuo stesso, ma oggi le conoscenze hanno rivoluzionato enormemente le nostre conoscenze passate.

Le proteine heat shock

I genetisti hanno osservato che, quando le cellule sono in condizioni di stress, è possibile rilevare un aumento della velocità delle mutazioni. In particolare, immediatamente dopo un improvviso aumento della temperatura, tutte le cellule incrementano la produzione delle proteine heat shock che servono a stabilizzare l’ambiente cellulare interno. Questo fenomeno, la prima volta che fu osservato, fu definito “risposta allo shock termico”.

Studi successivi, hanno rivelato che la stessa reazione si verifica quando le cellule subiscono una grande varietà di attacchi ambientali, tra cui intossicazioni da metalli, alcoli e molte altre tossine. Dato che stimoli, così numerosi e di diversa natura, attivano uno stesso meccanismo di difesa cellulare, ossia portano tutti a cambiamenti simili dell’espressione genica, questa risposta viene comunemente indicata come “risposta allo stress” e le proteine che in essa vengono espresse sono definite “proteine da stress”. Gli studi in corso portano a ritenere che alcune proteine da stress “orchestrino” l’attività di molecole regolatrici della crescita e del differenziamento cellulare.

L’espressione proteine heat shock (HSP) è regolata a livello trascrizionale, in quanto lo stress induce specificatamente la trascrizione di geni che le codificano.

Le proteine da stress proteggono le cellule dagli insulti ambientali di diversa natura, si esprimono anche in cellule normali e non solo in cellule sottoposte a stress o traumatizzate. Molti agenti che inducono risposte allo stress sono denaturanti proteici, ossia sostanze che fanno perdere alle proteine le loro configurazioni.

Gli immunologi hanno scoperto possibili connessioni tra proteine da stress e malattie autoimmuni. Infatti, alcune proteine da stress sono identiche alle proteine che si legano alle immunoglobuline e, nelle malattie autoimmuni, sono stati osservati anticorpi contro le proteine da stress del paziente.

Il legame tra proteine da stress, risposte immuni e malattie autoimmuni diventa interessante alla luce delle recenti scoperte. Queste proteine sono molto simili, per struttura e funzioni, agli antigeni di istocompatibilità e i geni che le codificano sono localizzati in sedi molto vicine ai geni per le proteine di istocompatibilità. Queste caratteristiche rafforzano l’ipotesi che le proteine da stress siano parte integrante del sistema immunitario.

Le proteine da stress hanno in comune la proprietà di avere una grandissima affinità per l’ATP, la molecola che funge universalmente da fonte di energia intracellulare. Inoltre, si è visto che gli effetti delle “fosforilazioni” e delle “defosforilazioni” di proteine o di enzimi, ossia il processo di donazione o sottrazione di gruppi fosforo, portano a cambiamenti delle loro configurazioni ed esse diventano più o meno attive nella loro funzione. Le fosforilazioni e le defosforilazioni agirebbero mediante un’azione di attivazione o di blocco delle cellule.

Il fattore di trascrizione nucleare NFkB

Le cellule attivano complessi meccanismi di controllo per modulare l’attività di espressione genica a livello trascrizionale, ossia nella produzione degli mRNA, dalla cui traduzione saranno prodotte le proteine. Uno dei livelli di regolazione dell’espressione genica coinvolge i cosiddetti fattori di trascrizione, proteine in grado di legarsi a specifiche porzioni del DNA, così da attivare o disattivare, a seconda dei casi, la trascrizione.

L’NFkB (nuclear factor kappa-light-chain-enhancer of activated B cells) è una proteina che agisce come fattore di trascrizione. È presente in quasi tutte le cellule animali ed è coinvolta in molte risposte cellulari a vari stimoli, come stress, citochine, radicali liberi, radiazioni ultraviolette, antigeni batterici e virali.

A livello del sistema immunitario l’NFkB ha un ruolo centrale, in quanto coordina l’espressione di un’ampia varietà di geni che controllano la risposta immunitaria innata e acquisita. In relazione a questo ruolo, un’incorretta regolazione dell’NFkB è stata collegata al cancro, alle malattie infiammatorie e autoimmuni, allo shock settico, alle infezioni virali e a un’impropria risposta immunitaria. Infatti, interviene in molti aspetti della risposta infiammatoria, come l’induzione di IL-1 (α e β), TNF-α e molecole di adesione dei leucociti (V-CAM-1 e I-CAM-1). È coinvolto in molti aspetti della crescita cellulare, della differenziazione e proliferazione, tramite l’induzione di certi fattori di crescita e di trascrizione. Inoltre, è implicato anche nei processi di plasticità sinaptica e di memorizzazione.

Dal punto di vista strutturale nell’uomo esistono cinque membri appartenenti alla famiglia dell’NFkB suddivisi in due classi. La prima comprende l’NFkB1 e l’NFkB2 sintetizzati come due precursori.

L’aspetto più importante del ruolo dell’NFkB, nella regolazione delle risposte cellulari, è rappresentato dalla sua azione rapida come fattore di trascrizione in quanto, essendo già presente nelle cellule in forma inattiva, non richiede nuove sintesi proteiche per essere attivato. Infatti, normalmente questa proteina si trova nel citoplasma di svariati tipi di cellule, legata ad un’ulteriore proteina (un inibitore) che la rende inattiva, cioè incapace di formare interazioni con il DNA. Sotto stimoli esterni di varia natura, come agenti batterici e virali, l’NFkB si libera, migra nel nucleo e qui assolve la sua funzione legando specifiche sequenze di DNA presenti in geni da esso regolati.

Nel citoplasma l’NFkB è legato a una classe di proteine inibitrici, dette IkBs, di cui sono stati identificati sette tipi. I segnali che inducono l’attività dell’NFkB causano la fosforilazione delle IkBs, la loro dissociazione e la conseguente degradazione, permettendo alle proteine NFkB di entrare nel nucleo e indurre l’espressione del gene.

Sono state identificate due chinasi come responsabili della fosforilazione delle IkBs, l’IKK-α e l’IKK-β.
La stimolazione delle cellule con TNF-α, una potente citochina infiammatoria, genera due tipi di segnale: uno dà inizio all’apoptosi, ossia la morte cellulare programmata; l’altra porta all’attivazione dell’NFkB e quindi alla risposta infiammatoria. Il risultato complessivo in uno specifico tipo cellulare dipende dal bilanciamento dei due segnali.

In particolare, durante l’attivazione del TNF-α, l’inibizione dell’NFkB comporterebbe apoptosi in vari tipi di cellule, normalmente resistenti all’apoptosi indotta dal TNF-α. È stato ipotizzato che l’attivazione dell’NFkB indurrebbe l’espressione di geni in grado di contrastare i segnali apoptosici e prevenire la morte cellulare. Viceversa, l’inibizione dell’attivazione dell’NFkB incrementa la suscettibilità di indurre la morte cellulare da parte del TNF-α.

Un altro aspetto interessante è che il TNF-α incrementa le specie ossidative dell’ossigeno (ROS), il cui accumulo è soppresso dalla superossido dismutasi mitocondriale.

L’NFkB, per il controllo esercitato su molti geni coinvolti nell’infiammazione, risulta attivo in molte malattie infettive, come artrite e asma. Viene inibito da molti prodotti naturali, (compresi gli antiossidanti) che sono risultati avere un’attività antitumorale e anti-infiammatoria.
Secondo alcuni studi il recettore dei glucorticoidi (GR) reprime l’espressione genica NFkB mediata. Ossia, mentre l’NFkB è implicato nella sopraregolazione di molti geni associati all’infiammazione, il recettore dei glucocorticoidi inibisce l’espressione dell’NFkB e di altri fattori di trascrizione proinfiammatoria, come l’NF-AT.

Sono stati compiuti molti sforzi per ricercare le relazioni tra processi infettivi, infiammazione e cancro. A tale proposito è stato ipotizzato che l’attivazione dell’NFkB, mediante la classica via dell’inibitore l’IKK-β, sia uno dei meccanismi cruciali della crescita e progressione dei tumori, come pure un importante modulatore della sorveglianza e repressione tumorale.

Nelle cellule eucariote l’NFkB è ampiamente utilizzato come un regolatore di geni che controllano la proliferazione e la sopravvivenza cellulare. In alcuni tipi di tumori umani esiste una sregolazione dell’NFkB che è sempre attivo. Le forme attive variano l’espressione di geni che mantengono la proliferazione cellulare e proteggono le cellule dalle condizioni che dovrebbero dare il via all’apoptosi. Viceversa, in caso di deficit dell’NFkB, aumenta la suscettibilità all’apoptosi e aumenta la morte cellulare. Ciò avviene perché l’NFkB regola dei geni anti-apoptotici, in particolare il TRAF1 e il TRAF2. Il blocco dell’NFkB può causare un arresto della proliferazione cellulare e questo aspetto è oggetto di studio nel campo delle terapie antitumorali.

Stress ossidativo

È stato osservato che un’alimentazione controllata può prolungare la vita dei roditori e di molti animali. Inoltre, le varianti igieniche e comportamentali che aumentano il successo biologico, ad esempio quelle che permettono di allontanarsi più in fretta da un pericolo, sono favorite, sono trasmesse alla prole e diventano comuni nel giro di poche generazioni. I portatori di caratteri vantaggiosi hanno una maggior probabilità di sopravvivere e di riprodursi e contribuiscono, in larga misura, a trasmettere i loro caratteri alle generazioni successive.

Alcuni ricercatori hanno osservato che le cellule germinali, o almeno una parte di esse, mantengono la capacità di riparare i danni subiti, mentre le cellule del corpo che non svolgono la funzione riproduttiva sono logorabili. Essi ritengono che nell’uomo il soma sia predisposto per mantenersi in perfetta efficienza per circa 40 anni e che, nella seconda metà della vita, si riesca a sopravvivere grazie alle capacità di ripristinare il materiale cellulare. Questa ipotesi fornisce un supporto teorico all’idea che l’invecchiamento sia il risultato dell’azione distruttiva di molecole normalmente prodotte nel corso della vita, tra cui i radicali liberi dell’ossigeno. Molte reazioni biologiche generano radicali liberi. Questi radicali, dal momento che hanno un elettrone spaiato, possono ossidare e quindi danneggiare il DNA, le proteine, i lipidi e altre molecole all’interno del corpo. Possono anche fornire altri radicali e agenti ossidanti come il perossido d’idrogeno.

In alcuni esperimenti si è visto che molti moscerini longevi producono una versione insolitamente attiva dell’enzima superossido dismutasi, che ha proprietà antiossidanti. Le superossido dismutasi difendono dai danni ossidativi, contribuendo a neutralizzare il radicale libero superossido molto dannoso. Inoltre, i tessuti dell’uomo e delle altre specie che vivono a lungo, producono nel complesso più superossido dismutasi e sono più sensibili all’ossidazione. In generale, il metabolismo di una specie è inversamente proporzionale alla durata della sua vita; i topi, ad esempio, hanno un metabolismo molto più accelerato di quello dell’uomo e raramente vivono più di tre anni.

Gli studi sul DNA mitocondriale dimostrano che i geni, almeno nei mitocondri, sono particolarmente vulnerabili al danno ossidativo. La velocità di ossidazione del DNA mitocondrale è più elevata di quella del materiale genico contenuto nel nucleo poiché, a differenza di quest’ultimo, non è protetto dalle proteine istoniche. Gli istoni, proteine che si combinano con i filamenti di DNA contenenti i geni e formano la cromatina, venivano considerati “materiale di riempimento”, dei “rocchetti” dotati di carica elettrica positiva, attorno ai quali si avvolgevano i filamenti di DNA con carica negativa. Attualmente si è visto che sono in grado di esercitare un’azione sia repressiva, sia facilitativa nell’attivazione di molti geni.

L’incessante attacco di tipo ossidativo al DNA mitocondrale potrebbe interferire gradualmente con l’attività dei mitocondri. Quando viene danneggiato un discreto numero di organelli, la cellula che li contiene inizia ad avere problemi energetici. Si è visto che nella progerie, una malattia che determina invecchiamento precoce, e negli anziani oltre la metà delle proteine, tra cui molti enzimi, hanno subito danni ossidativi; dai calcoli fatti sembra che la quantità di proteine ossidate aumenti esponenzialmente con l’età.

Le difese atte a prevenire e a riparare il danno molecolare, causato dai radicali liberi, sono alcuni enzimi: la superossido dismutasi (trasforma il radicale superossido in perossido di idrogeno), il glutatione perossidasi e catalasi (convertono il perossido di idrogeno in acqua e ossigeno molecolare), la vitamina E e il betacarotene (reagiscono con i radicali liberi impedendo loro di attaccare le strutture cellulari; inoltre sono liposolubili e proteggono le membrane), l’acido urico e la vitamina C (reagiscono con i radicali liberi del citoplasma) e i chelanti dei metalli (impediscono al ferro, al rame e ad altri metalli di transizione di catalizzare le reazioni ossidative).

L’articolo è stato tratto dal libro della Dr.ssa Gasparini
“Multidisciplinarietà in Medicina”

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