Fumare: piacere da morire

L’abitudine di respirare volontariamente ciò contro cui protesteremmo con rabbia se ci venisse imposto da altri è una cosa che, per l’essere assai diffusa, non è per questo meno strana e, se ne si considera l’illogicità, non facilmente comprensibile.

Certo, il fumo è una droga e questo spiega in parte l’attaccamento che per esso ha chi lo pratica. Una volta presa l’abitudine, esso non è più un piacere, ma è un dispiacere astenersene e smettere non è facile. Tuttavia sotto i 3 o 4 pacchetti al giorno, la quantità di droga presente nelle sigarette giustifica solo in parte, a livello fisiologico, le vere e proprie crisi di astinenza che incontra spesso chi desideri perdere un’abitudine che è dannosissima fisicamente e brucia più quattrini che tabacco (peggio: li regala al fisco).

Lo smettere un’abitudine inveterata, quale che sia, è difficile. Smettere un gesto che si compie ogni pochi minuti lo è molto di più; a quel gesto, infatti, sono legati:
1) l’assunzione di un po’ di droga;
2) l’attaccamento a una ritualità che difende, sotto il livello cosciente, il soggetto dalla propria insicurezza: tutto ciò che fa, dice o pensa potrebbe essere ridicolo o sbagliato, però la sigaretta si accende, si fuma e si butta secondo gesti ritualizzati, pressoché uguali per tutti.
3) un prezioso diaframma che il soggetto interpone tra sé e gli altri, che così sono tenuti un po’ lontani, ma non troppo né troppo palesemente. 4) Un riflesso condizionato, proprio come quello del cane di Pavlov: se si prende l’abitudine di lavorare o di esorcizzare il nervosismo o di compiere una qualsiasi attività associandola al fumare, compiere quell’attività sarà facile fumando e difficile senza fumare. Si noti poi che il fumare impegna più di un organo di senso: il gusto, il tatto e l’olfatto; in parte anche la vista, se vi si ricomprende, un po’ abusivamente, l’immagine di sé: l’intera persona dunque ne partecipa e ne è legata.

Ma perché si comincia?
Se riflettiamo sul fatto che la stragrande maggioranza dei fumatori ha cominciato da ragazzo, la risposta è oggi quella di ieri: per imitare chi è ciò che vorremmo essere; a quell’età, l’adulto, che l’adolescente ritiene, Dio sa quanto a torto, spigliato e padrone di sé. Non ultimo, paga papà.
L’immagine sociale del fumatore ha un’incidenza enorme sulla diffusione del fenomeno: negli Stati uniti qualche decennio fa il consumo delle sigarette stava sensibilmente calando: all’Humphrey Bogart virilmente cinico, con impermeabile, bavero e sigaretta, si era sostituita l’immagine, più realistica, del povero fumatore sfigato, puzzolente e frustrato, appartenente alle classi inferiori.

Ma le principali multinazionali del fumo corsero ai ripari; e l’immagine sociale, benché falsa, riprese rapidamente quota.
Volete smettere anche voi? Ma no, via! È così bello, per chi non fuma, sapere che c’è chi paga – con giuliva spontaneità – le tasse anche per lui!…

Fonte: Il Granulo

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