Curiosità e domande sull’evoluzione della pelle nella specie umana

Pochi organi sono così poco oggetto di riflessione funzionale ed evoluzionistica come la pelle. In effetti la pelle a prima vista appare un semplice tessuto di rivestimento.

Hahnemann le ha dato, probabilmente la migliore inquadratura funzionale fino ad oggi (1).

A livello chimico e biochimico la struttura della pelle è fondamentalmente composta di acidi grassi essenziali, che ne costituiscono il layer lipidico, ceramidi e gruppi proteici, in cui la cheratina è uno dei più abbondanti. Incluse nell’epitelio, annessi (peli) e cellule specializzate (melanociti, macrofagi, etc), la pelle appare come una grande distesa cellulare con funzioni di scambio e di protezione (2). Una trattazione senz’altro più completa in questo numero è fatta dal dr. Melodia, dal dr. Spiezia e dal dr. Villano. Mi sembra interessante aggiungere, al quadro ben definito, già citato, una prospettiva evoluzionistica, per meglio capire questo organo così essenziale e così apparentemente “amorfo”, e per trarne suggerimenti

Perché la nostra specie ha perso molti dei suoi peli di rivestimento?

Nel mondo comune abbiamo la tendenza a pensare che il pelo degli animali abbia una necessaria funzione protettiva e di termoregolazione. Seguendo questo ragionamento dovremmo pensare che la coperta pilifera esistente fino alle scimmie e agli ominidi, avrebbe dovuto essere conservata anche nell’attuale livello di evoluzione di homo sapiens sapiens. Eppure, queste funzioni, così necessarie in tutti i mammiferi, e così antiche, sono quasi completamente scomparse nell’uomo. Perché? Cosa ha determinato la scomparsa quasi totale dei peli? La perdita di una importante funzione dovrebbe essere compensata da un vantaggio. Una prima ipotesi, che deriva dall’idea che i primi uomini fossero nati nella savana africana, suggerisce che perdere i peli per una specie che vive al “caldo” (la nostra specie è nata in Africa), avrebbe potuto portare un vantaggio. In realtà la specie umana ha successivamente migrato verso zone sempre più fredde e non verso zone calde, quindi, ad esempio la termoregolazione non sembra essere l’elemento determinante.

Una ipotesi più recente, che deriva dal confronto dell’uomo con le specie di mammiferi che sono poco ricoperti di peli sulla pelle, come cetacei ippopotami ed elefanti, suggerisce che in realtà i primi uomini possano derivare da scimmie adattate al mezzo acquatico. Infatti i cetacei, delfini orche e balene, così come gli ippopotami e gli elefanti si sono adattati, o prediligono il mezzo acquatico (3). Un secondo fatto significativo importante è che la maggior parte della superficie è composta di lipidi che sono molecole idrofobe e che fungono bene da elemento di protezione in ambiente acquatico.

La domanda se l’è posta evidentemente per primo Charles Darwin, la cui ipotesi è legata alla preferenza sessuale (4). La sua idea è che il primo essere umano ad avere perso i peli, deve aver avuto una tale preferenza da parte dell’altro sesso, che la sua progenie deve aver “conquistato”, senza peli, il resto della popolazione umana!

Da qui anche l’abitudine della nostra specie a depilarsi, per aumentare l’attrazione sessuale!

Ma forse esistono anche altre spiegazioni. Ad esempio la presenza di peli potrebbe creare un’area in cui i parassiti si nascondono all’ispezione del nostro occhio. E’ noto a tutti che la maggior parte del tempo, le scimmie antropomorfe lo passano a cercare parassiti (e mangiarli!), scambiandosi così anche effusioni sessuali. La perdita di peli potrebbe essere stato un evento che avrebbe dato un enorme vantaggio selettivo, riducendo il tempo necessario a “spulciarsi” alla nostra specie, e garantendo più tempo per la ricerca del cibo ed altri scambi sociali. E l’abitudine alla depilazione nelle donne appare come un’ulteriore adattamento dovuto alla loro maggiore tendenza ad attirare zanzare ed altri tipi di insetti sulla pelle (5).

L’implicazione funzionale di questo vantaggio immediato (far presto a trovare i possibili parassiti), è che la pelle, esponendosi direttamente all’atmosfera, diviene anche più soggetta a traumi fisici come ferite e lacerazioni. Da qui la necessità che la pelle sia una struttura senza interruzioni di continuità, e la necessità di mantenerla sempre “sana”. Da qui le abitudini delle popolazioni umane, dagli Inuiti agli attuali abitanti dell’Africa, a coprire la pelle con grassi e olii per proteggerla e nutrirla (gli acidi grassi sono costituenti strutturali della pelle).

Hahnemann per primo ha compreso l’importanza essenziale delle alterazioni della pelle dovute ad infezione interna, cosa che chiamò “Psora” (1, 6).

Perché la nostra pelle si desquama?

La tendenza a rinnovarsi continuamente della pelle è una capacità acquisita da molto tempo. Anfibi e rettili usano mutare, ma anche lo strato corneo della pelle umana è soggetto a continuamente rinnovarsi. La desquamazione appare un fenomeno molto intenso quando la specie è giovane, poiché necessariamente legata alla crescita dell’organismo. Man mano che invecchiamo l’attività di desquamazione diminuisce progressivamente per un rallentato ricambio cellulare (che è anche una salvezza perché la riduzione della moltiplicazione cellulare diminuisce anche il rischio di mutazioni della pelle).

Ma la desquamazione è anche un risultato della funzione protettiva della pelle. Polvere, particelle inquinanti, sostanze chimiche sono trattenute in gran parte dallo strato corneo che protegge gli strati attivi, ampiamente irrorati, gli strati sottostanti della cute. Con il tempo, man mano che lo strato corneo viene progressivamente coperto dalle sostanze esterne, la pelle riduce la propria abilità sensoriale, e dunque la desquamazione permette di esporre nuovamente i sensori della pelle all’ambiente esterno. Oggi, con l’enorme aumento degli inquinanti, la pelle diventa sempre più un organo da proteggere, perché, specialmente in città, è continuamente sottoposta a particolato inesistente anche solo 200 anni fa. Sul piano strettamente evoluzionistico, l’adattamento allo smog probabilmente sarà molto complesso, o perlomeno prevedibilmente molto lungo. Le specie molecolari, gli inquinanti, che oggi si depositano sullo strato corneo, esistono da pochissimo tempo, e quindi la pelle – così come il resto del nostro organismo – non si è adattata a queste nuove sostanze, e probabilmente avrà molta difficoltà ad adattarsi nel breve periodo. E’ da tener presente che, dimostrato nel topo, probabilmente anche nella specie umana, nelle aree di maggiore irrorazione sanguigna della pelle, ci sono sensori dell’ossigeno in grado di modulare la pressione vascolare e stimolare l’eritropoiesi in caso di ipossia (7). E’ possibile che le variazioni di pressione atmosferica siano anche esse monitorate sulla pelle, aggiungendo elementi esplicativi della profonda integrazione tra pelle e sistema nervoso.

Per tali ragioni, io credo che sia necessario acquisire la consapevolezza che sia assolutamente necessario tenere pulita la pelle e garantirne il ricambio, ma d’altronde è essenziale non strafare nello stimolare troppo frequentemente il ricambio. Il numero medio di duplicazioni cellulari nell’uomo è di circa 60/cellula, e provvedere a eliminare lo strato esterno attraverso frequenti “peelings”, oltre a traumatizzare la pelle e a diminuire l’effetto barriera contro gli inquinanti, potrebbe ridurre la sopravvivenza dell’individuo.

Perché la nostra pelle è così delicata?

Certo è particolare della specie umana di avere una pelle così delicata in relazione ai nostri più prossimi parenti, i primati, che anch’essi in rapporto ad altre specie posseggono una pelle piuttosto delicata. E’ possibile – ma qui siamo nel mondo della supposizione – che l’acquisizione dell’andatura bipede, sia in qualche modo legata a questa caratteristica? Non avendo di fatto una vicinanza stretta con la terra, probabilmente non c’è stata più necessità di provvedere ad uno spesso strato corneo. Tale vantaggio, una pelle più leggera e più elastica, e, nel caso della specie umana certamente più sexy, ha però comportato una maggiore fragilità intrinseca, di fatto bilanciata dal maggiore “fascino” di questa nuova struttura. Ma ancora una volta la cura per la pelle ha una profonda motivazione nella consapevolezza innata che abbiamo come specie, che la pelle deve essere protetta, nutrita e mantenuta integra nella sua continuità.

(1) F. S. Hahnemann. Organon dell’arte del guarire. CeMON ed., 2006

(2) Proksch E, Brandner JM, Jensen JM. The skin: an indispensable barrier. Exp Dermatol. 2008 Dec;17(12):1063-72

(3) Sharon Moalem and Jonathan Prince. Survival of the Sickest: A Medical Maverick Discovers Why We Need Disease. Harper, 2007

(4) C. Darwin. L’ origine dell’uomo e la selezione sessuale. Newton Compton, 2007

(5) Noel T. Boaz. Evolving Health: The Origins of Illness and How the Modern World is Making Us Sick. Wiley ed., 2002

(6) F. S. Hahnemann. Le Malattie Croniche. CeMON ed 2008

(7) Boutin et al. Epidermal sensing of oxygen is essential for systemic hypoxic response. Cell. 2008 Apr 18;133(2):223-34.

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