Greenpeace ha pubblicato un “Eco Menù” con dieci consigli per una spesa amica del clima e del Pianeta. Si tratta di dieci consigli per guardare al futuro, ma al contempo ben radicati nel passato, soprattutto per chi vive in un Paese come l’Italia culla di quella dieta mediterranea riconosciuta dall’UNESCO come bene protetto e inserito nella lista dei patrimoni orali e immateriali dell’Umanità nel 2010.
Aumentare verdure e proteine vegetali, ridurre prodotti di origine animale (ma quei pochi, buoni e genuini), contenere al minimo gli imballaggi e la “strada” percorsa dal nostro cibo. Scegliere sempre stagionale e locale, e preferire sempre il biologico.
Questi alcuni dei consigli dell’associazione che invita i consumatori ad assumersi un impegno quotidiano per combattere i cambiamenti climatici, ma anche per mandare un messaggio all’intero sistema agroalimentare, nel quale pochi grandi attori fanno profitti sempre più grandi, mentre le piccole aziende spariscono.
“Come consumatori possiamo fare molto per invertire questa tendenza attraverso le nostre scelte quotidiane”, ha dichiarato Federica Ferrario, responsabile campagna agricoltura di Greenpeace Italia. “Anche la politica deve fare la sua parte. Servono scelte chiare ed efficaci: utilizzare i fondi pubblici della Politica agricola comune (PAC) per il sostegno delle produzioni ecologiche e non per quelle intensive, approvare una normativa europea per fermare il commercio di materie prime prodotte distruggendo le foreste, e impegnarsi ad istituire una rete di santuari marini per proteggere almeno il 30 per cento dei nostri mari”.
Il sistema alimentare, ricorda l’associazione, è responsabile di circa un quarto delle emissioni di gas serra, e questo “peso” è attribuibile in particolare alle diete più diffuse nei paesi ricchi, in cui è presente un elevato consumo di prodotti di origine animale e cibi ultra-processati.
“Le scelte alimentari che compiamo possono avere degli effetti a volte insostenibili. La fettina di carne comprata al supermercato sotto casa ha spesso una storia lunghissima da ‘raccontare’: ad esempio è molto probabile che il mangime usato nell’allevamento intensivo da cui proviene contenga soia coltivata su un terreno deforestato dall’altro lato del mondo. Un bicchiere di latte o una braciola potrebbero raccontare quanto gas serra o quanto inquinamento atmosferico sono legati alla loro produzione. Non tutti sanno che, ad esempio, gli allevamenti intensivi sono la seconda causa di formazione di polveri sottili in Italia, più del trasporto leggero e dell’industria, e che il settore zootecnico contribuisce alla produzione di gas climalteranti quanto l’intero settore dei trasporti”.
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