Comportamento, condizioni socioeconomiche e immunità

Migliorare il comportamento per migliorare la salute: i pericoli della depressione

Come ho ampiamente spiegato in un mio recente libro (Multidisciplinarietà in Medicina), lo studio della PNEI (psiconeuroendocrinoimmunologia) ha ampiamente dimostrati i molteplici legami tra sistema nervoso centrale (SNC), che riconosce e ricorda le esperienze, il sistema endocrino, che produce ormoni e governa molte funzioni somatiche, e il sistema immunitario, che organizza la risposta alle infezioni e a vari tipi di sollecitazioni.

Attualmente, è stato riconosciuto che specifici comportamenti sono associati ad aumentato rischio di contrarre specifiche malattie e sono stati chiariti alcuni meccanismi coinvolti. In altre parole, i fattori psicosociali influenzano lo stato di salute direttamente, attraverso meccanismi biologici, e indirettamente, attraverso una vasta gamma di comportamenti.

L’esistenza di intime relazioni tra comportamento e condizioni psicofisiche ha stimolato gli studi sulle influenze del comportamento e dei disturbi del comportamento sul sistema immunitario. Le finalità sono quelle di ottenere dei potenziali miglioramenti dello stato di salute attraverso modificazioni del comportamento, dello stato emozionale e delle relazioni sociali.

Le risposte comportamentali, in base alle loro caratteristiche, attivano vie neuroendocrine e autonome che, a loro volta, modulano il sistema immunitario con conseguenti implicazioni nei riguardi della suscettività a contrarre diverse malattie.

La depressione è un potente fattore di rischio nei confronti di molte malattie. Inoltre, le molteplici alterazioni delle funzioni immunitarie riscontrate in corso di depressione, disturbo post-traumatico da stress e stress cronico sono molto simili e sostengono la possibilità di una singola comune risposta adattiva tra cervello, comportamento e immunità.

Dominanza sociale e immunità negli animali

In molte specie animali, nell’organizzazione sociale si creano delle gerarchie che si basano fondamentalmente sull’aggressività e sulla dominanza.

In campo etologico, il termine aggressività sta a indicare quei comportamenti di confronto che hanno come esito il predominio su uno o più contendenti. Il termine comportamento agonale viene utilizzato per indicare tutti i moduli comportamentali dell’aggressione, ossia quelli della lotta e della fuga.

I moduli della lotta o dell’attacco sono comportamenti che portano ad una posizione di dominanza e ad un distanziamento spaziale e sociale del contendente e includono sia la lotta, reale e ritualizzata, sia la minaccia.
I moduli della fuga sono comportamenti di rinuncia alla competizione o al superamento di ostacoli e includono sia comportamenti di fuga, ossia di allontanamento fisico, sia tutti i moduli della sottomissione.

Archer J., un famoso etologo, distingue tre tipi di aggressività:

  • Aggressività protettiva (in caso di attacchi da parte di predatori, per dolori improvvisi o intrusioni territoriali).
  • Aggressività parenterale (volta a proteggere i nuovi nati).
  • Aggressività competitiva (finalizzata a ottenere territorio, accessi preferenziali alle risorse, precedenza su partner sessuali e alleanze opportunistiche).

Le aggressività protettiva e competitiva sono quelle coinvolte in situazioni che riflettono interazioni di dominanza.
Per studiare l’influenza dei rapporti di dominanza e il comportamento aggressivo sugli ormoni da stress e sulle funzioni immunitarie, sono stati utilizzati modelli animali, in particolare ratti e primati.

Nei ratti subordinati i livelli basali di corticosterone sono più elevati in rapporto a quelli dei ratti dominanti. Inoltre, dopo uno stress acuto, gli animali subordinati presentano una resistenza ai glucocorticoidi e non hanno un incremento di corticosterone in risposta a stress acuti, come invece si verifica in quelli dominanti.

In base al comportamento, durante le interazioni, i subordinati possono essere distinti in subdominanti (quando conservano un comportamento attivo, ad esempio tentano di combattere) o sottomessi (quando sono totalmente passivi, si nascondono o fanno atto di sottomissione mostrando le zone vulnerabili). I sottomessi hanno un’attivazione cronica dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e un incremento di glucocorticoidi. I subdominanti presentano un incremento di adrenalina e una diminuzione della globulina-legante-corticosterone, associata ad un aumento del corticosterone libero che comporta un incremento della sua funzione.

A livello immunitario si ha un incremento della risposta immunitaria cellulo-mediata TH2, per aumento dei corticosteroidi, diminuzione dei linfociti nei subordinati e aumento dei leucociti negli animali feriti.

Studi sui primati hanno evidenziato l’influenza del rango, ma anche della personalità sull’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Ad esempio, i macachi Rhesus con alti livelli di eccitabilità (eccitati, attivi e subordinati) e meno fiduciosi, hanno di base livelli più bassi di cortisolo rispetto a quelli che hanno più fiducia e aggressività.

I soggetti di basso rango hanno un rischio maggiore di contrarre malattie, dopo inoculazione virale, e hanno un livello di cortisolo più elevato rispetto a quelli di alto rango. Si è visto che due fattori contribuiscono ad elevare il livello di cortisolo nel gruppo dei subordinati: il livello di esperienza di stress e la disponibilità di un supporto sociale da parte di altri membri del gruppo. Inoltre, i subordinati spesso non si riproducono.

Studi sulle interrelazioni tra aspetti sociali del comportamento (socievolezza, aggressività e rango) e risposte immunitarie in vivo e in vitro hanno evidenziato che livelli di basso rango sociale e situazioni di instabilità si associano ad un aumentato rischio di ammalarsi e morire. Inoltre, il supporto sociale modera questi effetti indipendentemente dallo stato sociale e sono le caratteristiche individuali del comportamento e della personalità che contribuiscono in modo sostanziale ad instaurare queste relazioni.

Contesto sociale e differenze individuali

Il termine ‘contesto sociale’ si riferisce alle influenze esercitate su ogni individuo dal quartiere di residenza, dalla comunità e dalla famiglia. Al contrario, gli studi sulle differenze individuali isolano l’individuo e tendono ad esaminare le sue caratteristiche personali, senza considerare come un più ampio contesto sociale possa contribuire a svilupparle.

In riferimento al contesto sociale, uno degli indicatori più rappresentativi è quello dello stato socioeconomico. Con questo termine ci si riferisce alla posizione individuale entro una più ampia gerarchia sociale. Questa posizione è tipicamente indicata dallo stato sociale (per es. occupazione, livello di istruzione) o dalle risorse materiali (per es. reddito e risparmi).

Lo stato socioeconomico contribuisce a sviluppare stabili differenze individuali tra le persone e ha profonde influenze sullo stato di salute fisica e mentale. Bassi livelli socioeconomici si associano ad una più elevata possibilità di ammalarsi e morire e a varie caratteristiche psicologiche. Queste includono alcune variabili incluse nelle caratteristiche individuali, come l’ostilità, la depressione e l’ansia. Bassi livelli sociali si associano anche ad un aumento dei fattori di rischio per uno stile di vita poco salutare (fumo, minore attività fisica, alimentazione poco attenta e poco salutare). Infine, bassi livelli sociali comportano un maggiore rischio di esposizione ad eventi stressanti e una maggiore tendenza a percepire lo stress nel corso della vita.

La risposta immunitaria a un identico stressor ha effetti più marcati nelle persone con basso stato socioeconomico rispetto a quelle con un alto stato socioeconomico. Si ritiene che vivere e lavorare in situazioni imprevedibili e talvolta pericolose comporti la tendenza a interpretare le varie situazioni come potenzialmente minacciose. Ciò comporta inevitabilmente emozioni negative e un’attivazione non necessaria dell’asse dello stress; il che può contribuire ad aumentare il carico allostatico e alterare il sistema endocrino e immunitario. Inoltre, la possibilità di fronteggiare diversi tipi di stress, come perdita di lavoro o malattie, è notevolmente ridotta in caso di scarse risorse economiche e basso livello culturale.

Studi condotti su soggetti adolescenti affetti da asma hanno evidenziato che i soggetti con basse condizioni socioeconomiche avevano una produzione più elevata di alcune citochine (interleuchina-5 e interferone-γ) rispetto ai coetanei asmatici con migliori condizioni socioeconomiche. Inoltre, in caso di basso livello socioeconomico, i marker infiammatori (proteina C, IL-6, TNF-α, fibrinogeno e omocisteina) risultano elevati e rimangono significativamente alti anche dopo astensione dal fumo, controllo dietetico, attività fisica e cure mediche. Da ciò emerge che questi soggetti presentano uno stato infiammatorio persistente, che non è modificato da comportamenti e interventi salutari e comporta gravi conseguenze in caso di stress cronici.

Relazioni tra depressione, comportamenti correlati e alterazioni immunitarie

La depressione comporta alterazioni a livello multiplo delle risposte immunitarie. Queste alterazioni possono non solo contribuire allo sviluppo o all’aggravamento di diverse malattie, ma possono anche entrare negli stessi meccanismi fisiopatologici della malattia stessa.
Gli effetti della depressione sul sistema immunitario sono influenzati da diverse variabili cliniche, come l’età, il sesso, l’etnia e la massa corporea.
I vari meccanismi comportamentali, come disturbi del sonno, inattività fisica, fumo, abuso di alcolici e dipendenza da droghe, che sono di frequente riscontro nella depressione, hanno effetti indipendenti sulle funzioni immunitarie e alterano l’entità delle variazioni immunitarie collegate alla depressione.

Nei pazienti depressi si hanno livelli elevati di CRH (ormone rilasciante la corticotropina), con conseguente attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e del sistema nervoso simpatico, aumento del cortisolo, di adrenalina, di noradrenalina, del neuropeptide Y e dei marker infiammatori.

L’attivazione simpatica sopprime l’attività di diverse popolazioni di cellule immunitarie, incluse le cellule Natural Killer e i linfociti T. Le catecolamine possono incrementare la produzione di anticorpi da parte dei linfociti B e la capacità dei macrofagi di rilasciare citochine. Si ritiene che l’attivazione simpatica riduca la capacità del sistema immunitario di distruggere i patogeni intracellulari (per es. i virus) per diminuzione della risposta cellulo-mediata, mentre incrementa la risposta umorale nei confronti dei patogeni extracellulari (per es. batteri).

Il cortisolo riduce la risposta cellulo-mediata TH1 e la produzione di interferone-γ, incrementa la risposta umorale TH2 e la produzione di interleuchina-10. La proteina C reattiva, importante indicatore di flogosi, è spesso aumentata. Le citochine proinfiammatorie, come interleuchina-1, interleuchina-6 e TNF-α risultano aumentate, possono avere effetti bidirezionali, possono modulare l’attività dell’ipotalamo e indurre sintomi comportamentali. In particolare, la sovrapproduzione di interleuchina-1β può contribuire all’iperattivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene nella depressione.

Le citochine influenzano molte vie coinvolte nei meccanismi fisiopatologici della depressione, in quanto hanno potenti effetti sulle funzioni dei neurotrasmettitori, sulle funzioni neuroendocrine e sul comportamento.

Molti pazienti trattati con interferone-α sviluppano depressione, come pure quelli trattati con interleuchina-2 per carcinoma renale.
In conclusione, nella depressione, le citochine alterano l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene incrementando il rilascio di CRH, alterano le funzioni del recettore dei glucocorticoidi con aumento della resistenza ai glucocorticoidi, riducono la disponibilità di triptofano per la sintesi di serotonina, alterano la produzione della dopamina, con conseguente rallentamento psicomotorio e compromettono importanti funzioni cognitive per azioni sulla corteccia cingolata anteriore. Tutti questi cambiamenti e le rilevanti alterazioni dei processi cognitivi possono contribuire all’insorgenza della depressione.

L’articolo è stato tratto dal libro della Dr.ssa Gasparini
“Multidisciplinarietà in Medicina”

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