La Carbon Sequestration divide il mondo scientifico. Ma Bp ha già iniziato a immagazzinare milioni di tonnellate in Algeria. Come ci si disfa delle emissioni di anidride carbonica senza spendere troppo? Il colosso petrolifero Bp un modo lo ha trovato: le inietta sottoterra. Al centro del deserto del Sahara, in Algeria, a circa 160 chilometri dal primo luogo abitato, il gruppo britannico ha speso 100 milioni di dollari per un impianto che cattura la CO2 e la pompa sotto il suolo (a una profondità di circa 1,6 chilometri). L’intenzione è di mettere in questo “magazzino” circa 1 milione di tonnellate di emissioni all’anno (più o meno quelle prodotte annualmente da 100mila gipponi) per i prossimi 20 anni. «È il modo meno costoso per abbattere le emissioni che conosciamo», ha dichiarato Iain Wright, il responsabile del progetto.
La “carbon sequestration” (così viene definito il procedimento dai tecnici) di Bp è ancora in fase sperimentale ma un po’ tutte le compagnie energetiche lo stanno guardando con molto interesse. Soprattutto quelle europee perché con l’entrata in vigore del protocollo di Kyoto (il 16 febbraio scorso) sono obbligate a rispettare dei tetti di emissione fissati dai piani nazionali (peraltro in Italia il piano è ancora in attesa di approvazione da parte di Bruxelles). Ma anche quelle americane, perché nonostante la mancata adesione di George W. Bush al protocollo, ritengono che prima o poi verrà anche la loro ora. Ma gli aspetti controversi di questo sistema – a cui stanno lavorando oltre a Bp anche la compagnia norvegese Statoil sotto il letto del Mare del Nord e Chevrontexaco in Australia fuoricosta, mentre Ue e Usa stanno spendendo decine di milioni di dollari nella ricerca – non sono di poco conto.
La principale preoccupazione riguarda la sicurezza. Nel 1986 – ricordano gli oppositori della carbon sequestration – anidride carbonica e altri gas che esistevano naturalmente sotto un lago vulcanico in Camerun fuoriuscirono improvvisamente, asfissiando 1.700 persone che abitavano nelle vicinanze. I geologi di Bp hanno ribattuto che la riserva dove stanno iniettando le emissioni è sigillata meglio di un vulcano. Ma hanno ammesso che ci sono delle incertezze. «Niente è sicuro al 100% – hanno detto – ma abbiamo fatto tutto quello che potevamo per mitigare il rischio».
La “carbon sequestration” divide anche gli ambientalisti. Sicurezza a parte, molte associazioni verdi sono contrarie perché temono che lo sviluppo di questo sistema distolga attenzione e soldi dalle energie alternative (soprattutto solare ed eolica) e alle tecnologie per un uso più efficiente dell’energia. C’è invece chi non lo ostacola. «Dobbiamo iniziare a tagliare le emissioni inquinanti senza aspettare il momento in cui si potrà fare a meno dei combustibili fossili – ha detto David Hawkins, direttore del centro sul clima dell’associazione americana Natural resources defense council. Insomma, il dibattito è aperto.
Fonte: valori
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