A distanza di 32 anni dal disastro della centrale nucleare di Chernobyl il latte risulta ancora altamente contaminato. Nei campioni prelevati in diverse fattorie che distano 200 chilometri dall’ex centrale il livello di radioattività riscontrata è 12 volte superiore a soglia di sicurezza per un bambino e fino a 5 volte la soglia di sicurezza per un adulto. È quanto rivela una ricerca condotta da Greenpeace Research Laboratories presso l’Università di Exeter e lo Ukrainian Institute of Agricultural Radiology i cui risultati sono stati pubblicati su Environmental International.
“Più di 30 anni dopo il disastro di Chernobyl – spiega la dottoressa Iryna Labunska, dei Greenpeace Research Laboratories dell’Università di Exeter – la gente è ancora esposta abitualmente al cesio radioattivo, attraverso il consumo di alimenti base locali, quale appunto il latte, nelle zone interessate dal disastro nucleare. Molte delle persone di quest’area possiedono una mucca per il latte e i bambini ne sono i principali consumatori. Sebbene il livello di contaminazione al suolo nelle aree esaminate non sia estremamente elevato, il cesio radioattivo continua ad accumularsi nel latte e in altri alimenti; in questo modo, gli abitanti di questi villaggi sono esposti cronicamente alla radioattività e questo comporta gravi rischi, soprattutto per i bambini”.
In almeno sei delle 14 delle fattorie prese in esame, i livelli di cesio radioattivo nel latte superano la soglia di sicurezza per gli adulti (100 Bq/L), mentre 8 di queste fattorie producono un latte che supera i 40 Bq/l, la soglia di sicurezza per i bambini.
Inoltre dalle analisi sono risultati contaminati anche le patate e alcuni allevamenti di maiali. In quest’ultimo caso la via dell’inquinamento radioattivo sarebbe legato ai mangimi.
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