- I commenti del Dr. Mercola
- La vitamina D può prevenire il diabete di tipo 1
- Una nuova ricerca conferma che le donne incinte rischiano seriamente carenze di vitamina D
- Quali dovrebbero essere i livelli di vitamina D dei bambini piccoli?
- Cos’altro si può fare per prevenire il diabete di tipo 1?
- Esiste una cura per questo tipo di diabete?
Una ricerca pubblicata nel 2009 sul Lancet ha scoperto che l’insorgenza di nuovi casi di diabete di tipo 1 nei bambini potrebbe raddoppiare nel giro di dieci anni. Possibili motivi di questo incredibile aumento includono:
1. Troppo grandi troppo in fretta. L’ “Ipotesi dell’acceleratore” teorizza, per i bambini che sono più grandi e crescono più velocemente rispetto alla norma, una maggiore possibilità di sviluppare il diabete di tipo 1.
2. Troppo poco sole. “L’ipotesi del sole” è stata elaborata a partire da dati secondo cui i paesi più vicini all’ Equatore hanno percentuali più basse di diabete di tipo 1.
3. Troppa pulizia. L’ “ipotesi dell’igiene” si basa sulla nozione che la troppa pulizia –intesa come mancata esposizione a certi tipi di germi e parassiti – possa aumentare la suscettibilità a malattie come il diabete.
4. Troppo latte vaccino. L’“ipotesi del latte vaccino” sostiene che esporre i bambini a latte vaccino artificiale durante i primi sei mesi di vita danneggi il loro sistema immunitario e possa provocare l’insorgenza di malattie autoimmuni, come appunto, il diabete di tipo 1.
5.Troppo inquinamento. L’“ipotesi POP (Persistent Organic Pollutant – Inquinante Organico Persistente)” afferma che l’esposizione a elementi inquinanti aumenta il rischio di diabete.
Fonti bibliografiche:
U.S. News & World Report, 27 aprile 2010
I commenti del Dr. Mercola
A differenza di quanto accade con il diabete di tipo 2, causato dall’insulino-resistenza e da difetti nella segnalazione della leptina dovuti a dieta inappropriata e mancanza di esercizio fisico, le persone affette dalla variante di tipo 1 non producono insulina naturalmente e devono iniettarsela diverse volte al giorno se vogliono sopravvivere.
Purtroppo, queste persone possono avere le abitudini più sane del mondo e soffrire lo stesso di diverse malattie, in quanto la tecnologia attuale non ha ancora trovato il modo di sopperire alle funzioni di un pancreas in piena efficienza.
In sostanza, il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmune in cui il sistema immunitario distrugge le cellule del pancreas per produrre insulina. Questa patologia tende ad avere una progressione piuttosto rapida e necessita di una diagnosi assai precoce perché può provocare gravi complicazioni a lungo termine tra cui cecità, insufficienza renale, patologie cardiache e ictus.
Molto meno comune del diabete di tipo 2, (colpisce solo il 5-10 per cento dei diabetici) questa malattia affligge un numero via via più alto di persone. Infatti, uno studio del Lancet ha mostrato che, tra il 2005 e il 2020, si prevede il raddoppiamento delle percentuali che la riguardano nei bambini sotto i cinque anni. Inoltre, si pensa che, in questo stesso periodo, i casi relativi ai bambini sotto i quindici anni saliranno del 70 per cento. Tutti si chiedono che cosa stia provocando un tale aumento; la ricerca è indirizzata verso un problema piuttosto importante e facilmente identificabile: la carenza di vitamina D.
La vitamina D può prevenire il diabete di tipo 1
È risaputo ormai da tempo che il diabete di tipo 1 si fa sempre più raro man mano che ci si avvicina all’Equatore. Questo ha dato il via a una ricerca secondo i cui risultati, se una donna incinta ha dei buoni livelli di vitamina D durante la gravidanza, il rischio dell’insorgenza del diabete di tipo 1 nel bambino viene drasticamente ridotto, se non virtualmente eliminato!
I recettori della vitamina D sono presenti in tutti i tipi di cellula (da quelle cerebrali a quelle delle ossa) e quindi, anche in quelle del pancreas.
Secondo il Dr. Michael Holick, uno dei maggiori ricercatori mondiali nell’ambito della vitamina D, i bambini che ricevono integratori che la contengono a partire dal primo anno di età riducono il rischio di diabete dell’80 per cento.
Una nuova ricerca conferma che le donne incinte rischiano seriamente carenze di vitamina D
Questa è un’informazione fondamentale per qualsiasi donna sia incinta o programmi una gravidanza, poiché un’altra ricerca condotta dal Dr. Hollis e dal Dr. Wagner ha dimostrato che più dell’87 per cento dei neonati e più del 67 per cento delle neo-mamme aveva livelli di vitamina D più bassi rispetto a un valore di 20 ng/ml (nanogrammi per millilitro di sangue), cifra che rappresenta una carenza piuttosto seria. Visti i risultati, i due medici hanno consigliato a tutte le madri di aumentare i loro livelli di vitamina D durante la gravidanza, specialmente nei mesi invernali, in modo da proteggere meglio la salute dei loro figli.
Un nuovo studio da parte del Dr. Hollis e dei sui colleghi ha confermato che, per ottenere questo aumento, le donne in gravidanza dovrebbero consumare una quantità di alimenti a base di vitamina D dieci volte superiore a quella consigliata.
Attualmente, si consiglia alle donne in stato di gravidanza di assumere quotidianamente dalle 200 alle 400 IU (International Unit – Unità Internazionali) di vitamina D, una quantità che è fin troppo bassa.
In una nuova ricerca, presentata al meeting annuale delle Pediatric Academic Societies tenutosi a Vancouver, donne della Columbia Britannica che erano almeno alla dodicesima settimana di gravidanza hanno assunto 400, 2000 0 4000 IU di vitamina D al giorno.
Quelle che avevano assunto la quantità più alta – 4000 IU quotidiane – hanno mostrato le minori possibilità in assoluto di andare incontro a un travaglio o un parto prematuro oppure di sviluppare infezioni.
Sfortunatamente, secondo un diverso studio recente pubblicato su Archives of Internal Medicine, il 97 per cento degli Afroamericani ha livelli di vitamina D troppo bassi per godere di un’ottima salute, insieme al 90 per cento dei Messicani Americani ed il 71 per cento dei bianchi.
Si tratta di cifre sorprendenti che potrebbero rappresentare, per i neonati, l’aumento del rischio di sviluppare il diabete di tipo 1!
Inoltre, se si è genitori di bambini piccoli, è fondamentale testare i loro livelli di vitamina D, favorire una adeguata esposizione al sole e, se necessario, usare integratori per aumentarli. Iniziando subito, si può potenzialmente risparmiare ai piccoli la sofferenza lunga tutta la vita che provoca questa malattia.
Quali dovrebbero essere i livelli di vitamina D dei bambini piccoli?
Dal mio punto di vista, dato l’enorme numero di prove scientifiche relative ai benefici di buoni livelli di vitamina D durante la gravidanza che abbiamo attualmente a disposizione , direi che non controllarli in maniera abituale nelle donne incinte può essere considerata una negligenza medica criminale punibile.
Naturalmente, oggi come oggi, questa pratica non rientra ancora negli “ standard di trattamento ”, quindi nessun medico perderà l’abilitazione per non aver eseguito i test. Tuttavia, non è il caso di aspettare che diventi una prassi allineandosi a quella che è la realtà delle cose. È necessario, anzi, incoraggiare tutte le donne incinte a tenere sotto controllo i propri livelli di vitamina D durante la gravidanza.
Sulla base della ricerca più recente, il dosaggio raccomandato, da assumere per via orale è di 35 IU di vitamina D per ogni libbra di peso corporeo (circa mezzo chilo o, più precisamente, 0,45 chili), come mostrato nella tabella seguente.

Bisogna tenere a mente che le dosi qui consigliate rappresentano solo una stima poiché è semplicemente impossibile dare consigli generali adatti ai bisogni di tutti.
A causa dell’elevato numero di variabili che influenzano lo status della vitamina D, l’unico modo per determinare il corretto dosaggio è fare le analisi del sangue.
Dato che attualmente esistono DUE test possibili per valutare i livelli della vitamina D, il test dell’ 1,25 (OH)D (1,25 diidrossicolecalciferolo) e quello per il 25 (OH)D (25 idrossicolecalciferolo) Il primo passo consiste nel richiedere quello giusto.
Il test più appropriato da richiedere al medici è il 25(OH)D, chiamato anche 25-idrossivitamina D, infatti, si tratta del miglior indicatore dello status generale di questa vitamina e quindi diventa il miglior indicatore di buone condizioni generali di salute.
Consiglio, se si è in America, di farlo presso Labcorp (Laboratory Corporation of America). Se lo si fa presso la Quest (Quest Diagnostics), bisognerà dividere il risultato per 1, 3 in modo da ottenere il valore “reale”.
Coi risultati alla mano, si può verificare che i valori riportati dal test come “ nella norma ”, sono tra i 20 e i 56 ng/ml. Tuttavia, come si può vedere dalla tabella qui sotto, questo intervallo convenzionale è in realtà un segno di carenza, inoltre è troppo ampio per essere ideale.

Di fatto, i livelli di vitamina D del bambino non dovrebbero scendere al di sotto dei 32 ng/ml, inoltre, tutti i valori al di sotto dei 20 ng/ml sono da considerarsi gravi stati di carenza che possono aumentare il rischio, tanto per fare degli esempi, di contrarre il cancro o malattie autoimmuni come la sclerosi multipla oppure l’artrite reumatoide.
Il valore IDEALE da ricercare è 50-70 ng/ml.
Questo intervallo va bene più o meno per tutti: bambini, adolescenti, adulti e anziani
Per maggiori informazioni su come aumentare i livelli di vitamina D, consiglio la visione della mia conferenza gratuita della durata di un’ora.
Cos’altro si può fare per prevenire il diabete di tipo 1?
Esistono diversi altri fattori che possono contribuire alla formazione del diabete di tipo 1. È bene provare a seguire i seguenti suggerimenti per mantenere i rischi di genitori e figli il più bassi possibile.
– Allattare il bambino al seno: I bambini che prendono il biberon hanno la tendenza a crescere più in fretta e questo non è un risultato positivo. D’altro canto, bambini che guadagnano molto peso durante il primo anno di vita possono correre un rischio maggiore di contrarre la malattia.
La seconda ragione per cui l’allattamento al seno è preferibile sta nel fatto che non si devono esporre i bambini a del latte artificiale vaccino pastorizzato. Venire a contatto con questo tipo di latte nei primi anni di vita è, allo stesso modo, un fattore di rischio.
– Evitare i cereali. Di solito, i cereali sono uno dei primi cibi solidi a essere introdotti nell’alimentazione del piccolo, inoltre, la maggio parte dei pediatri incoraggia i genitori a iniziare a proporli tra i 4 e i 6 mesi di età. Purtroppo, però, questo tipo di cibi non rappresenta una scelta salutare per la maggior parte delle persone, neonati compresi. I piccoli, se nutriti coi cereali, corrono rischi maggiori.
I bambini possono iniziare con fonti di carboidrati di tipo vegetale, quindi, per fare loro un favore, è meglio preferire le verdure ai cereali.
Documentarsi prima delle vaccinazioni. Di recente, si sta discutendo del fatto che il crescente numero delle malattie autoimmuni che affliggono i bambini possa essere dovuto al crescente numero di vaccini che questi ricevono. Secondo il dottor Donald W. Miller Jr., dagli anni 50 a oggi i casi di diabete infantile di tipo 1 sono aumentati di 17 volte, colpendo 1 bambino su 700 all’epoca e 1 su 400 ai giorni nostri, un dato correlato all’aumento delle vaccinazioni.
Esiste una cura per questo tipo di diabete?
Per come stanno le cose al momento, la prevenzione è considerata l’arma migliore contro questa patologia, inoltre, non mi stancherò mai di ripeterlo, è importante avere alti livelli di vitamina D, soprattutto in gravidanza e allattamento.
Detto questo,esistono incoraggianti ricerche che comportano l’uso di cellule staminali per rimpiazzare le cellule insulari pancreatiche e quindi curare il diabete di tipo 1.
Nel 2007, il British Time Online ha riportato le prime prove cliniche dell’efficacia delle cellule staminali ematopoietiche (derivate dal midollo osseo) nella cura di questa malattia.
Una ricerca brasiliana pubblicata sul Journal of the American Medical Association (JAMA) ha scoperto che questo tipo di terapia aveva una bassa tossicità e un tasso di mortalità pari a zero. Tutti i volontari che hanno partecipato al trial clinico tranne due (93 per cento) non hanno avuto bisogno di iniezioni quotidiane di insulina fino a tre giorni dopo la fine della cura, poiché il trattamento ha fatto si che il loro organismo ricominciasse a produrre l’ormone in maniera naturale.
Dal mio punto di vista, il problema principale della particolare terapia usata in questa ricerca stava nei farmaci usati, all’inizio, per inibire il sistema immunitario dei pazienti prima di ricevere trasfusioni di cellule staminali prese dal loro stesso sangue.
La soppressione del sistema immunitario può portare a svariati tipi di problemi di salute – dopotutto, si tratta della prima linea di difesa dell’organismo – in ogni caso, la teoria basata sull’ uso di cellule staminali per riattivare la produzione naturale di insulina è interessante e promettente , per cui rimango piuttosto ottimista, e spero che un giorno possa risultare in una concreta opzione di terapia per i diabetici.
La tecnica in questione non è ancora diventata di uso comune per la mancanza, da parte delle compagnie farmaceutiche, di incentivi che sponsorizzino una ricerca mirata a liberare i loro attuali “clienti” dall’insulina. Tuttavia, la cosa non è neppure totalmente fuori questione.
In un altro editoriale del Journal of American Medical Association sulla questione, il Dr. Jay Skyler del Diabetes Research Institute dell’Università di Miami ha scritto:
“La ricerca in questo campo esploderà nel giro di pochi anni e dovrebbe quindi includere sia trial casuali controllati, sia studi meccanicistici”.
Di nuovo, è consigliabile utilizzare la prevenzione come mezzo principale di difesa dal diabete di tipo 1.
Fonte: mercola.com
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