Aromi: ad alte dosi interferiscono con il metabolismo di alcuni farmaci

Le spezie possono fare bene, ma serve attenzione quando si prendono farmaci.

Vi è mai venuto in mente che le spezie, dal peperoncino alla cannella, potessero influire sul metabolismo dei farmaci? IL dubbio non è poi tanto peregrino se si pensa che alcune spezie, nel corso del tempo, sono state esaltate, vantandone le proprietà «terapeutiche», mentre altre hanno goduto di cattiva fama e sono state ritenute «pericolose» perché contengono sostanze pungenti o molto aromatiche e, se si esagera nel loro consumo, possono risultare irritanti.

Il primo effetto biologico apprezzato delle spezie è stato quello disinfettante, attribuito, per esempio (e giustamente), alla curcuma e ai chiodi di garofano; poi se ne è capito quello digestivo, proprio, per esempio, del pepe. Più di recente, è stata anche dimostrata l’attività anticancerogena di sostanze come la curcumina, presente nella curcuma e dell’anetolo contenuto nei semi del finocchio. Provato anche l’effetto antinausea della radice dello zenzero, quello analgesico del peperoncino e quello antidiabetico della corteccia dì cannella.

Negli ultimi anni, visto anche il reale ruolo «terapeutico» dì alcune spezie, la domanda iniziale è stata presa in seria considerazione e sono state messe a punto varie tecniche di laboratorio per valutare la possibile interazione tra queste sostanze aromatizzanti e i farmaci dì sintesi. Recentemente, un gruppo di ricercatori giapponesi, guidati da Yxjka Ki-mura, ha pubblicato sul Biologica! & Pharmaceutical Bulletin, un vasto studio relativo a 55 spezie, in cui sì è valutata l’azione sul sistema dei citocromi, le strutture cellulari che metabolizzano i farmaci e che sì trovano soprattutto nel fegato.

Dalla ricerca risulta che cannella, pepe bianco e nero, zenzero e noce moscata inibiscono l’attività dì questo sistema, in particolare a livello dei citocromi 3A4 e 2C9 implicati nel metabolismo della maggior parte dei farmaci. E questo naturalmente fa sì che ì medicinali rimangano attivi più a lungo.

In alcuni casi questo fenomeno può essere vantaggioso. Ad esempio, ricerche importanti dimostrano che la curcumina grazie a questo meccanismo rende più efficaci ì chemioterapici. Analogamente, i chiodi di garofano incrementano l’azione degù antibiotici nei confronti dei germi gram negativi. E il pepe, che oltre ad avere la capacità dì aumentare la «vita» dei farmaci, ha anche quello di incrementarne l’assorbimento intestinale, può essere sfruttato come veicolo per molecole scarsamente diffusìbili.

Ma l’aumento dell’attività dei farmaci causato dalle spezie, assunte ad alte dosi, può rivelarsi viceversa dannoso: ad esempio lo zenzero associato agli antiinfiammatori può comportare un aumento della loro gastrolesività e l’aglio può ridurre l’efficacia degli antivirali.

La domanda ovvia, a questo punto, è: ma che cosa si intende per «alte dosi»? Va chiarito che l’interferenza con l’attività dei farmaci sì può verificare solo quando le spezie vengono assunte in maniera continuativa e a piene dosi, ad esempio sotto forma dì estratti in integratori o in medicinali, o se ne fa un vero e proprio «abuso» alimentare. Inoltre la possibilità di interazioni dipende anche dal tipo dì farmaco. Quelli più sensibili all’azione degli alimenti – frutta, verdura e spezie – sono gli anticoagulanti orali: la loro attività può ridursi, con rischio di trombosi, se il paziente mangia troppa verdura, mentre al contrario può aumentare, con rischi emorragici, se abusa di spezie.

Ben vengano quindi le conoscenze scientifiche anche sulle spezie, al fine di evitarne rischi e di sfruttarne appieno le virtù più nascoste.

Fonte: Corriere della Sera

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