Un nuovo studio promette di rivoluzionare l’approccio a quella che è stata definita la “malattia del secolo”, l’Alzheimer, la forma più diffusa di demenza senile. Il responsabile del morbo non è nell’area del cervello associata alla memoria ma all’origine della malattia ci sarebbe la morte dei neuroni nell’area collegata anche ai disturbi dell’umore. È quanto emerge da uno studio italiano pubblicato su Nature Communications, i cui risultati dimostrano anche che la depressione sarebbe una spia dell’Alzheimer e non viceversa.
La ricerca, coordinata da Marcello D’Amelio, professore associato di Fisiologia Umana e Neurofisiologia presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma, getta una luce nuova su questa patologia che, sino a questo momento, si riteneva dovuta ad una degenerazione delle cellule dell’ippocampo, area cerebrale da cui dipendono i meccanismi del ricordo.
La nuova ricerca, condotta in collaborazione con la Fondazione IRCCS Santa Lucia e del CNR di Roma, punta invece l’attenzione sull’area tegmentale ventrale, dove viene prodotta la dopamina, neurotrasmettitore collegato anche ai disturbi d’umore. Come in un effetto domino, la morte di neuroni deputati alla produzione di dopamina provoca il mancato arrivo di questa sostanza nell’ippocampo, causandone il ‘tilt’ che genera la perdita dei ricordi.
“L’area tegmentale ventrale – spiega D’Amelio – rilascia dopamina anche nell’area che controlla la gratificazione. Per cui, con la degenerazione dei neuroni dopaminergici, aumenta anche il rischio di perdita di iniziativa”. Ciò spiega perché l’Alzheimer è accompagnato da un calo nell’interesse per le attività della vita, fino alla depressione. Tuttavia, sottolineano i ricercatori, i noti cambiamenti dell’umore associati all’Alzheimer, non sarebbero conseguenza della sua comparsa, ma un ‘campanello d’allarme’ dell’inizio della patologia. “Perdita di memoria e depressione – conclude D’Amelio – sono due facce della stessa medaglia”.
Secondo le stime in Italia l’Alzheimer colpisce 500-600 mila persone, pari al 5% delle persone con più di 60 anni. L’età media dei malati di Alzheimer è di 78,8 anni. La malattia – provocata da un’alterazione delle funzioni cerebrali che implica serie difficoltà nel condurre le normali attività quotidiane – colpisce la memoria e le funzioni cognitive, si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare ma può causare anche stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale. Prende il nome da Alois Alzheimer, neurologo tedesco che nel 1907 notò segni particolari nel tessuto cerebrale di una donna che era morta in seguito a una insolita malattia mentale, evidenziando la presenza di agglomerati, poi definiti placche amiloidi, e di fasci di fibre aggrovigliate.
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