Lo svantaggio produttivo delle coltivazioni che non utilizzano concimi e pesticidi rispetto a quelle di tipo convenzionale è minore di quanto stimato in passato. Inoltre, un’attenta gestione di opportune pratiche agricole potrebbe ridurlo ulteriormente. È questo il risultato di uno studio condotto dai ricercatori dell’Università della California a Berkeley pubblicato sui “Proceedings of the Royal Society B”, nel quale è stata effettuata un’analisi di 115 studi già pubblicati e che avevano confrontato la cosiddetta agricoltura biologica con quella convenzionale.
Dall’analisi è emerso che le colture che non impiegano pesticidi e concimi di sintesi rendono il 19,2 per cento in meno di quelle convenzionali, una differenza inferiore alle rese, molto variabili, spesso indicate in letteratura.
Un’attenta gestione di due pratiche agricole – la policoltura (in cui coesistono diverse coltivazioni in una stessa area nella stessa stagione) e la rotazione delle colture – consentono inoltre di ridurre sostanzialmente il divario di rendimento portandolo ad appena l’8 o il 9 per cento. L’entità del divario dipende inoltre dal tipo di coltivazione, e per alcune, come nel caso delle leguminose, è pressoché insignificante.
“È importante ricordare – spiega Claire Kremen – che il nostro attuale sistema agricolo produce molto più cibo di quanto è necessario ad alimentare la popolazione mondiale. Per eliminare la fame nel mondo è necessario aumentare l’accesso al cibo, non solo la produzione. Inoltre, aumentare la percentuale di agricoltura che usa metodi biologici e sostenibili di coltivazione non è una scelta, è una necessità. Semplicemente non potremo continuare a lungo a produrre cibo senza prenderci cura di suolo, acqua e biodiversità”.
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