Più sani e più rispettosi dell’ambiente: tra le principali motivazioni che spingono verso il biologico vi sono il valore nutrizionale e l’impatto ambientale.
C’è chi magari vuole imitare Gwyneth Paltrow o Madonna che dicono di mantenere la linea rigorosamente con cibi biologici e pratiche yoga. E chi invece vuole emulare il “way of living” molto radical chic del principe Charles di Inghilterra, da sempre grande promotore dell’organic farm. Nella stragrande maggioranza dei casi, però, chi compra prodotti bio lo fa per altri due motivi: perché ritiene che la produzione sia più rispettosa dell’ambiente e perché pensa che siano più sani. È effettivamente così? Sono ragioni valide? Anche alla luce delle voci critiche che si sono sentite negli ultimi tempi, abbiamo fatto il punto sull’impatto ambientale dell’agricoltura biologica e sul valore nutrizionale dei prodotti. Ecco che cosa ne è emerso sulla base delle ultime ricerche, articoli specializzati e dati disponibili.
Più biodiversità e terreno fertile
In Italia la valutazione dell’impatto ambientale dell’agricoltura biologica è stato affrontato pochissimo. E allora come farsi un’idea? Da diversi studi europei sull’argomento sono state tratte alcune conclusioni (Raffaele Zagnoli, Rivista di politica agraria n. 6 del 2000).
Ecosistema: l’agricoltura biologica ha un impatto ambientale inferiore rispetto a quella convenzionale sulla diversità della fauna e della flora. E in teoria, genera una maggiore biodiversità.
Suolo: diversi studi hanno dimostrato che l’agricoltura biologica ha un impatto positivo sulla fertilità dei terreni. La sostanza organica è infatti maggiore nei terreni coltivati con l’agricoltura biologica. In questi terreni si è notata una maggiore attività biologica e una maggiore diversità a livello microbico. La maggiore copertura dei terreni garantita dagli schemi rotazionali ha un impatto positivo sull’erosione del solo, un aspetto particolarmente importante nel nostro Paese che ha diverse aree a rischio idrogeologico.
Acqua: l’agricoltura biologica permette di ridurre l’infiltrazione dei nitrati nelle acque di falda, con un impatto positivo anche sulla qualità delle acque superficiali. Gli studi effettuati dimostrano che la perdita di nutrienti per unità di superficie è fino al 57% più bassa nei sistemi agricoli biologici rispetto a quelli convenzionali. Il calo è però più o meno lo stesso per unità di prodotto. L’agricoltura bio elimina il rischio di contaminazione delle acque di falda e superficiali con pesticidi e altre sostanze chimiche di sintesi.
Clima e aria: gli studi in materia sono piuttosto scarsi anche se valutazioni di esperti tendono a considerare inferiori i livelli di emissione per quasi tutti i gas serra (CO2, NO2 e CH4), oltre che ovviamente per i pesticidi. In un parere espresso dal Consiglio superiore dell’agricoltura nel 1999, si sostiene però la tesi opposta per gli allevamenti estensivi (ma non necessariamente bio).
Salute e benessere degli animali: anche su questo argomento ci sono pochi studi. In generale quando i sistemi di allevamento biologico sono conformi alla normativa Ue la vita produttiva delle vacche da latte libere nei pascoli è più elevata rispetto a quella delle sorelle costrette a stare nelle stalle.
Meno consumo di energia
Uno studio condotto in Germania (Bioagricoltura, marzo-aprile 2005) ha messo a confronto 18 aziende agricole (allevamenti da latte con seminativi) dimostrando il minor consumo energetico della produzione biologica: 6,8 gigajoule per ettaro rispetto ad un consumo medio delle aziende intensive di 19,4 gigajoule per ettaro, determinato dal ricorso a energia fossile per gli impianti di essicazione del foraggio e all’uso di fertilizzanti azotati. Altri studi in Iran e in Finlandia sono giunti a conclusioni analoghe.
Frutta e verdura più nutrienti. Ma quanto?
Anche nel campo nutrizionale le ricerche condotte in Italia sui prodotti bio sono poche. Tra le ultime citate dalle pubblicazioni di settore (fonte: “AZ Bio”, ottobre-novembre 2005, p. 9), interessante quella condotta dal centro studi e ricerche di vitaminologia del Dipartimento di biochimica dell’Università degli studi di Bologna, che insieme a un’azienda agricola della provincia di Ancona, ha sviluppato un olio extravergine in grado di ostacolare l’insorgere dell’osteoporosi, una delle patologie più diffuse del tessuto osseo.
Ma nel resto d’Europa che cosa si dice? Si nota una certa diversità di vedute. Gli ultimi studi del Darcof (rete danese di ricerca per l’agricoltura biologica) hanno sostenuto che le tecniche di alimentazione animale utilizzate nelle fattorie biologiche assicurano un più elevato livello di vitamina E e di altri antiossidanti nel latte. Il Food Centre dell’Università di New Castle ha illustrato varie ricerche che mostrano l’incremento nella frutta e nella verdura biologica di nutrienti secondari (come antiossidanti, vitamine, flavonoidi polifenoli) utili per migliorare i meccanismi naturali di resistenza alle malattie.
Più cauta l’Afssa. Secondo l’Agenzia francese per la sicurezza alimentare, è vero che nei cibi bio c’è una maggiore quantità di polifenoli. Ma, più in generale, le differenze nutrizionali tra cibi convenzionali e bio sono poco significative. La scelta di preferire il biologico, dunque, si giustificherebbe soprattutto per l’assenza di antiparassitari.
Secondo Sergio Maria Francardo, medico antroposofo, studi condotti in Germania e in Svizzera dimostrerebbero che l’aspetto più interessante degli alimenti biologici è quello “dinamico”. «Nei cibi prodotti con l’agricoltura biologica e biodinamica tutti i fattori nutritivi, come la vitamina C e il betacarotene, hanno dimostrato una maggiore capacità di resistenza nel tempo – dice Francardo – mentre nei cibi convenzionali molte sostanze vengono perdute nel periodo che intercorre tra la raccolta e l’arrivo in tavola». Nel corso della sua esperienza professionale ha riscontrato che i bambini piccoli nutriti con cibo biologico si ammalano meno e sviluppano meno allergie. Alle stesse conclusioni, dice il medico antroposofo, sarebbe giunto uno studio condotto in Svezia e pubblicato sulla rivista scientifica Lancet.
Progetti bio nel Terzo Mondo
Agricoltura bio contro la povertà. È questa la conclusione a cui è giunto uno studio dell’Ifad (International fund agricultural development), l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa del Fondo internazionale per lo sviluppo dell’agricoltura, sulla base di diversi progetti di agricoltura biologica portati avanti nell’America Latina e nei Caraibi.
L’indagine condotta in Argentina, Messico, Guatemala, Costa Rica, Repubblica Dominicana e Salvador nel periodo 2000-2002 ha coinvolto oltre 5mila produttori, comprese otto comunità indigene e circa 9.800 ettari di terreno. Le coltivazioni interessate sono state quelle della canna da zucchero, del caffé, delle banane, degli ortaggi, del cacao e del miele. Gli agricoltori “convertiti al bio” hanno assistito a un incremento del loro reddito dal 22% in più ottenuto dai dominicani con le banane al 150% dei produttori di cacao in Costa Rica. In tutti i casi la conversione al bio ha causato una crescita dei costi per la manodopera (l’agricoltura biologica necessita di più lavoratori rispetto a quella tradizionale) e un calo della produttività del terreno, ma il tutto è stato compensato dal prezzo più alto di vendita dei prodotti rispetto a quello normale. Oltre ai vantaggi economici, l’Ifad ha anche riscontrato un miglioramento delle condizioni di salute (dovuto all’abbandono totale dei pesticidi), dell’ambiente (hanno aiutato a conservare l’integrità di foreste e della biodiversità) e nella gestione più sostenibile del terreno.
Fonte: valori
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