L’ADHD…esiste davvero? Intervista al Dott. Claudio Ajmone

Professor Ajmone, da cosa è nato esattamente il Suo interesse per l’ADHD?
Dal fatto che è la patologia più diagnosticata nei minori e trattata con farmaci potenzialmente pericolosi per la loro l’integrità psicofisica, che possono causare anche il decesso. Inoltre perchè bambini sono il futuro dell’umanità e vanno compresi e tutelati, e perché ho visto in “Giù Le Mani Dai Bambini” un’organizzazione idonea a portare avanti in modo efficace questa battaglia in Italia, e che mi ha concesso uno spazio importante di collaborazione che sta continuando in modo proficuo da sei anni.

Spieghiamo a beneficio dei lettori cos’è l’ADHD per quella parte della comunità scientifica che la riconosce come una malattia …
L’ADHD è considerata una malattia genetica, ereditaria, cronica ed incurabile, la cui espressione è caratterizzata da comportamenti del bambino sintomatici di impulsività, iperattività e disattenzione, generatrice di una vasta gamma di gravi problemi d’adattamento sociale, e da trattare sempre con terapia farmacologica, facoltativamente abbinabile a psicoterapia e interventi sociali. Una piaga sociale da debellare, una missione da compiere…

Secondo Lei questa impostazione risponde ai dubbi sollevati da medici e specialisti sull’ADHD? Esiste una differente definizione di ADHD a Suo avviso più corretta?
Molti addetti ai lavori non credono che l’ADHD sia una malattia, semplicemente perché non ci sono prove scientifiche sul genotipo e fenotipo, non ci sono test medici oggettivi per diagnosticarla, non ci sono fattori specifici che la caratterizzano, e la diagnostica è contaminata da variabili di tipo soggettivo e morale. Tutto ciò che c’è, è una serie di comportamenti-sintomo operazionalmente mal definiti, che cambiano ad ogni edizione del DSM (il Diagnostic Statistical Manual, il Manuale dei disturbi mentali che è il riferimento per la comunità psichiatrica internazionale, redatto da un’associazione privata americana, ndr). Io preferisco quindi parlare di pseudo ADHD e di patologie che la “mimano”, tanto per intenderci su ciò di cui si parla. Sono infatti molte le patologie che hanno tra i propri sintomi l’iperattività e la disattenzione, e riclassificare due sintomi come fossero una malattia a se stante è un’operazione a mio avviso scorretta se non fraudolenta.

Lei è stato tra i primi in Italia a definire così l’ADHD? Ha la paternità di questa definizione? E questa Sua definizione è stata poi condivisa anche da altri esperti in Italia, aggregando consenso su questa ipotesi?
Credo di si, ho espresso questa tesi nel “Consensus Internazionale: ADHD e abuso nella prescrizione di psicofarmaci ai minori” del 2005, che è stato sottoscritto da importanti professionisti, docenti universitari e associazioni, anche d’altre nazioni, che condividono questo punto di vista, che è anche diventato la posizione ufficiale della campagna Giù Le Mani Dai Bambini sull’ADHD.

Qual’è invece l’opinione dominante tra gli esperti all’estero circa l’ADHD? Ci sono spiegazioni ed opinioni contrastanti per questo disturbo? Quali pareri di esperti può citare a sostegno di questa tesi?
La tesi ufficiale, ovunque, è quella della malattia genetica, sostenuta dalla biopsichiatria che ha in varia misura colonizzato tutte le strutture pubbliche nazionali e internazionali della sanità, la biopolitica, la legislazione, le riviste e i convegni di settore e molte associazioni parentali. Poi ci sono dei “dissidenti” – scientificamente qualificati – che negano l’esistenza dell’ADHD, alcuni di loro tanto importanti da essere consultati dagli organi ufficiali della Sanità e dalle commissioni Parlamentari, ma poi troppo spesso ignorati. Ne cito alcuni storicamente rilevanti in America: lo psichiatra Peter Breggin, il neurologo Fred Baughman, lo psichiatra libertario Thomas Szasz. Una disamina sulla nosografia ADHD ed efficacia e sicurezza del Ritalin e Atomoxetina è esposta nella Relazione tecnico-scientifica del ricorso al TAR del Lazio di Giù Le Mani Dai Bambini avverso l’autorizzazione alla commercializzazione di questi farmaci in Italia dell’AIFA.

E’ già stata avanzata in letteratura l’ipotesi che si possa trattare di un’operazione di “disease mongering”?
Per disease mongering si intende l’inventare malattie patologizzando normali sofferenze della vita, al solo scopo di trarne profitto vendendo farmaci. Curare le persone sane facendo leva sulla paura è il più grande business mai concepito in violazione dei diritti umani, dell’etica medica e scientifica, e – mi auguro – anche del codice penale, malgrado non mi risulti ci siano state condanne per questo. L’ADHD è considerato da molti un disease mongering.

Come si pongono le autorità di controllo sanitario rispetto a questa ipotesi?
L’acquiescenza è la regola d’oro, non svolgono alcun ruolo indipendente di vigilanza e tutela degli utenti. Psichiatria, Ministeri della Sanità, Università e farmaceutiche sono una grande famiglia; le farmaceutiche però hanno il portafoglio, e perciò la regia del disease mongering. Come sostiene Noam Chomky le multinazionali sono il governo ombra delle Nazioni, i moderni re e Imperatori, invisibili, imprevedibili e inattaccabili. E’ un dato di fatto che nessuna industria spende tanti soldi come le farmaceutiche per sponsorizzare la politica e il lobbing: nel parlamento degli USA mettono alle costole di ogni parlamentare 2 lobbisti per 365 giorni all’anno. Poi inseriscono persone di loro riferimento negli organismi della Sanità. Queste sono le moderne schiavitù/dittature, così soft che per molti è difficile notarle.

I cittadini, e segnatamente i genitori, sono a Suo avviso debitamente informati circa queste ipotesi?
Sono poco informati e molti non ne sanno nulla, i nostri mass media, quelli che contano di più, non si sono ancora emancipati per svolgere adeguatamente un ruolo di informatori indipendenti su temi scottanti quali questo. Le istituzioni disinformano, usando il potere che hanno, e i mass media sono sempre a loro disposizione. Non mancano le eccezioni come il recente Documentario inchiesta di RAI 3 “Inventori di malattie” in cui il Dr. Peter Rost, ex Vice Presidente Marketing della Pfizer, paragona il potere delle farmaceutiche a quello mafioso.

Gli psicofarmaci abitualmente somministrati ai minori sono potenzialmente pericolosi, e – sia in caso affermativo che negativo – perchè?
Sono prodotti tossici per definizione, e potenzialmente iatrogeni, pericolosi per tutte le fasce d’età, in particolare per organismi in via di sviluppo come i bambini, e quelli deboli come gli anziani. Sono pericolosi anche per chi non li assume, perché possono rendere chi li assume aggressivo fino all’omicidio. Emblematico negli USA fu il caso Donald Shell che nel 2000 dopo aver assunto per 2 giorni il paxil (nome commerciale Paroxetina, ndr) sterminò la sua famiglia e si suicidò. Nel 2001 una giuria del Wyoming condannò la GlaxoSmithKline a pagare 6.4 milioni di dollari ai famigliari superstiti, recependo la tesi che fu il farmaco a renderlo violento. Casi come questi sono tutt’altro che rari tra i minori che uccidono genitori, amici e insegnanti.

Si utilizzano anche più psicofarmaci nella stessa terapia? Se si, quali sono i pericoli di questa pratica?
La polifarmacia, cioè dare simultaneamente più psicofarmaci, è una prassi molto diffusa, nessuno sa quali rischi comporti perché non ci sono ricerche in merito all’interazione iatrogena tra psicofarmaci. Mi sono stati riferiti casi di minori che in America assumevano fini a 12 psicofarmaci simultaneamente, non c’è da meravigliarsi che finiscano in ospedale, e sviluppino malattie fisiche e mentali, o muoiano. Chiesi al nostro ISS (Istituto Superiore di Sanità, ndr) di inserire i dati della polifarmacia nel loro protocollo sull’ADHD, ma nulla in merito compare nel recentemente pubblicato. Dubito che i nostri bambini se la siano cavata con un solo psicofarmaco, e nulla si sa in ogni caso sugli effetti collaterali e l’efficacia delle terapie messe in atto, quasi come questi fossero dati ininfluenti.

Lei ha per primo in Italia sollevato l’attenzione della comunità scientifica e della cittadinanza interessata sulla cosiddetta “diagnosi differenziale”? Può spiegare con parole semplici ad un lettore non informato di cosa si tratta?
Diciamo il primo ad approfondire questo tema. Ho individuato fino ad ora nella letteratura scientifica 248 tra patologie e condizioni che mimano l’ADHD, e non è un listato definitivo benché già sia significativo. Volendo concedere il beneficio del dubbio sull’esistenza dell’ADHD, possiamo affermare che questa diagnosi è potenzialmente errata se prima non si verifica se si tratti di una patologia differente che la “mima”, ovvero che presenta gli stessi sintomi. Se curo un’intossicazione alimentare che genera iperattività (che ne è il sintomo) come un iperattività psichiatrica, non risolvo il problema del bambino e lo espongo a gravi pericoli per gli effetti collaterali dello psicofarmaco. Un’accurata diagnosi differenziale permette di scoprire la vera causa, ed è un banco di prova per la nosografia (la scienza che si occupa della classificazione delle malattie, per estensione la descrizione delle caratteristiche di una malattia, ndr) ADHD/DDAI. Forse per questo i protocolli dell’ISS e dell’AIFA (l’Agenzia Italiana del Farmaco, ndr) sull’ADHD sono così lacunosi riguardo la diagnosi differenziale.

Può fare degli esempi pratici di tipiche malattie che “mimano” l’ADHD e quindi vengono confuse con essa, trattando psichiatricamente bambini che invece hanno altri problemi? Questo succede anche in Italia?
Una diagnosi differenziale carente genera un doppio danno, il primo è che non si individua la vera causa, e così facendo si priva la persona di un suo diritto alla diagnosi e cura. Il secondo è che si prescrivono potenti e pericolosi psicofarmaci per una malattia inesistente, inutili tranne che – per citare la nota psichiatra Prof. Emilia Costa – come “camicia di forza chimica”, il che nel contempo è anche un abuso nella prescrizione di farmaci. Questo succede in tutto il mondo, Italia inclusa, le diagnosi differenziali sono ovunque ampiamente carenti. Le patologie e condizione che mimano l’ADHD in ambito scientifico sono eufemisticamente definite “correlazioni”, raramente cause, perché non si vuole contestare e mettere in crisi la nosografia ADHD. Il loro elevato numero, non definitivo, è di 248 (patologie che mimano l’ADHD, avendone gli stessi sintomi, ndr), e il fatto che questi sintomi compaiono nelle più disparate malattie e condizioni ci dice chiaramente che sono “sintomi prezzemolo”, che compaiono ogni volta che c’è una seria sofferenza fisica e psichica o condizioni sfavorevoli gravi. Di per se, non caratterizzano alcuna malattia: il deficit di attenzione ad esempio è la prima reazione generica e basilare del nostro organismo ad un disagio. Ci sono molte ricerche sui disordini del sonno correlate anche all’inquinamento elettromagnetico, sulle problematiche alimentari, famigliari, tic e compulsioni, disabilità di apprendimento, disordini pervasivi dello sviluppo inerenti la gravidanza, oppure genetici. Insomma, raggruppare tutte queste ipotesi sotto l’ombrello di un’unica nuova malattia è scientificamente ridicolo.

Si è ipotizzato che una delle possibili cause di iperattività potessero essere i conservanti a base di mercurio (Thiomersal) presenti fino a qualche anno fa in certi vaccini, è possibile?
Certamente, cito alcune ricerche su questo punto a titolo di esempio:
– Geier DA et altri in Neurodevelopmental disorders, maternal rh-negativity, and rho(d) immune globulins, Neuro Endocrinol Lett. 2008. Si rileva un aumento di probabilità per l’ADHD nella fase prenatale causa vaccinazione delle madri.
– Geier DA, Geier MR in A two-phased population epidemiological study of the safety of thimerosal-containing vaccines: a follow-up analysis, Med Sci Monit.2005. Ricerca comparata sui vaccini con e senza mercurio che individua un incremento significativo del rischio per ADHD, autismo e altre patologie.
– Young HA et altri in Thimerosal exposure in infants and neurodevelopmental disorders, J Neurol Sci. 2008. In bambini vaccinati dopo la nascita e l’incremento di ADHD, autismo e altrre patologie sono definite costanti e significative, viene espressamente detto che il mercurio deve essere tolto dai vaccini.

Si è ipotizzata la medesima cosa per l’autismo ma ci sono state controversie. Che ci può dire in merito?
Nel 1999 il Centers for Disease Control (CDC) e l’American Academy of Pediatrics (AAP) chiesero alle farmaceutiche di togliere il thiomersal dai vaccini appellandosi al principio di precauzione. Questa richiesta fu gradualmente e non definitivamente accolta, simultaneamente sorse un consensus scientifico (un documento in cui un gruppo di esperti qualificati fanno il punto su una questione scientificamente controversa, ndr) sulla sicurezza del thiomersal, nel quale coivolsero l’Institute of Medicine (IOM), la World Health Organization, la Food and Drug Administration e il Centers for Disease Control. Un po’ di confusione comunque c’era, i livelli di thiomersal ammessi dalle varie agenzie governative erano diversi e alcune linee guida sulla tossicità del mercurio si basavano sul metilmercurio e non sull’etilmercurio (thiomersal). Le soglie di tossicità dell’etilmercurio non sono mai state stabilite con certezza. Il tasso di autismo non diminuì togliendo il thiomersal dai vaccini e l’autismo autentico si disse ha una sintomatologia diversa. Nel 2004 lo IOM pubblicava il suo ottavo rapporto ribadendo la sicurezza del thiomersal. Questo rapporto fu subito contestato e dichiarato errato dal prof. Mady Hornig della Columbia University perché una sua ricerca sfavorevole non fu presa in considerazione, e la National Autism Association accusò la IOM e la CDC di conflitti d’interesse con le farmaceutiche per aver ignorato altre importanti ricerche sfavorevoli. Negli U.S.A. l’incidenza dell’autismo è aumentata del 900% dal 1992 al 2001. Dal 1998 a gennaio 2008 ci sono state negli USA 5.263 richieste d’indennizzo, una fu accolta, 350 no e le altre sono pendenti.
Molti bambini furono chelati (la chelazione è un drenaggio forzato dell’organismo. E’ una tecnica praticata e conosciuta nei paesi anglosassoni e in America, da circa 40 anni, ma in Italia ancora poco conosciuta, che consiste nel raccogliere all’interno dell’organismo per mezzo del sangue le tossine accumulate nelle vene e nelle arterie (esempio calcio e grassi, ndr)

Quali sono a Suo avviso gli interessi in gioco sull’ADHD?
Per le farmaceutiche le quotazioni in borsa, per gli addetti ai lavori soldi, carriera e più lavoro, per genitori e insegnanti una soluzione veloce, a volte per le scuole anche un’autofinanziamento, dato che in molti paesi all’estero le scuole ricevono sovvenzioni pubbliche ogni qual volta etichettano ADHD un bambino (è previsto un sistema di sovvenzioni nel paesi anglosassoni, che di fatto di traducono in incentivi, per assorbire le maggiori spese derivanti dall’assistenza a classi con bambini ADHD, ndr)

Tali interessi, giustificherebbero secondo Lei l’invenzione a tavolino di una malattia come l’ADHD? E che ruolo ha la ricerca scientifica in questo delicato scenario? E’ vera indipendenza?
Si, dopo la depressione l’ADHD è la patologia più diagnosticata, si sta espandendo in tutto il mondo a macchia d’olio, è un trend inarrestabile, come si sul dire è una gallina dalle uova d’oro. La ricerca è totalmente finanziata dalle farmaceutiche, anche nelle università, ed è quindi inaffidabile e non indipendente, il conflitto d’interessi è rilevante. In mezzo secolo d’accanimento sperimentale nessuno è riuscito a dimostrare che questa malattia esiste, eppure ci si comporta come se la sua esistenza fosse certa: in questo scenario mi viene da dire che la scien
a sia morta da molto tempo. Quando si fanno esperimenti su una malattia la cui esistenza non è dimostrata, dandola invece per scontata, siamo al paradosso scientifico e si cade nel ridicolo.

Ma i genitori sono così superficiali nel decidere di somministrare uno psicofarmaco ad un bambino? Perchè si arriva tanto?
Penso che ci sia una parte di genitori disinformati e in buona fede convinti che il loro figlio abbia questa malattia, e che sia necessario somministrare il farmaco. Altri, convinti o meno che siano, scelgono il farmaco vuoi per disperazione, vuoi per le pressioni che subiscono da parte della scuola, vuoi perché anche a casa sono in difficoltà con il figlio, vuoi perché non sanno cosa fare in alternativa al farmaco, o non possono affrontare la spesa di una psicoterapia, o far fare una diagnosi differenziale perché il medico rifiuta di disporla.

La scuola che responsabilità ha in tutto ciò, se ne ha?
In America le pressioni sui genitori per la medicalizzazione arrivano direttamente dagli insegnanti, con ritorsioni in caso di diniego che arrivavano fino all’espulsione dalla scuola e alla segnalazione al giudice per i minori. Molti gli screening nelle scuole, che purtroppo iniziano ad essere fatti anche in Italia, come denuncia il nostro testimonial Beppe Grillo. La scuola deve dire no a tutto questo, ad esempio aderendo al progetto Scuola Protetta per una gestione responsabile e pedagogica dei bambini problematici

A suo avviso è più o meno importante promuovere campagne di informazione e sensibilizzazione quali “Giù le Mani dai Bambini”? Sia in caso affermativo che negativo, perchè?
E’ di vitale importanza, anche se non offrono soluzioni pratiche, al massimo le prospettano: compete poi agli organi istituzionali risolvere i problemi. L’informazione però ha la propedeutica funzione di mettere in moto i meccanismi sociali per un “ripensamento” che favorisce le soluzioni. E’ importante fare una buona informazione, corretta e imparziale, per essere credibili più della disinformazione promossa dalle multinazionali del farmaco e di fatto avvallata dagli organi istituzionali e da una certa psichiatria. Una buona campagna d’informazione è anche un punto di riferimento aggregativi, che permette alle persone di uscire dall’isolamento della propria condizione e trovare la forza di reagire.

Recentemente l’EMEA ha terminato una revisione sul metilfenidato, quali sono gli esiti di questo lavoro?
Stando al resoconto dell’AIFA sono conclamati e certi i seguenti effetti iatrogeni psichiatrici: aggressività, comportamento violento, psicosi, forme maniacali, irritabilità, suicidarietà, iperfocalizzazione, comportamenti ripetitivi, esacerbazione dei problemi psichiatrici. Nelle segnalazioni spontanee degli effetti avversi raccolti dall’ISS compaiono: comportamento anormale, alterazione del pensiero, rabbia, ostilità, aggressività, agitazione, tic, irritabilità, ansia, pianto, depressione, sonnolenza, ADHD aggravata, iperattività psicomotoria, disordine emotivo, nervosismo, disordine psicotico, variazioni dell’umore, pensieri morbosi, disturbo ossessivo-compulsivo, cambiamento/disturbo della personalità, irrequietezza, stato confusionale, allucinazioni, letargia, paranoia e suicidarietà. Rispetto agli effetti sulla crescita e la prescrizione oltre i 12 mesi ci sono omissioni. Salvo che per il fenomeno di Raynaud e prove precliniche di un effetto diretto del metilfenidato sulla struttura dei tessuti cardiaci, incerto è ritenuto anche il rischio cardiovascolare, malgrado che nei rapporti spontanei compaiano aritmie cardiache (compresa tachicardia), ipertensione, arresto cardiaco, ischemia, con qualche segnalazione di morte improvvisa, cianosi centrale, periferica e non specificata. Ad eccezione dell’emicrania il rischio cerebrovascolare è ritenuto incerto malgrado ci siano segnalazioni spontanee che includono accidente cerebrovascolare, ictus, infarto cerebrale e ischemia cerebrale. Nel complesso questo rapporto scientifico è un piccolo passo avanti, molto modesto e sicuramente favorevole al marketing del farmaco poiché conferma il positivo rapporto costi/benefici senza alcuna indicazione dei parametri e metodi utilizzati per calcolarlo. Inoltre è stupefacente che siano stati conclamati come certi solo 2 effetti collaterali fisici quali il fenomeno di Raynaud ed emicrania.

Professore, come si giustificano le continue ricerche – finanziate anche dal Ministero per la Salute USA – per l’individuazione di una presunta origine genetica dell’Adhd?
La biopsichiatria cerca disperatamente la prova genetica per legittimare e sostenere l’imponente impianto teorico-terapeutico-legislativo che ha costruito sull’ADHD, con i relativi conspicui interessi finanziari correlati. Fino ad oggi ha fallito in quest’impresa, non avendo individuato – nonostante le ingenti risorse stanziate – un fenotipo credibile per i vari disordini mentali, schizofrenia inclusa. Oggi ripiega sugli endofenotipi, trattimarker biologici intermedi o “ponte” tra il gene/i e il presunto fenotipo, ma nulla di certo è ancora stato detto. Essi sono fortemente influenzati da fattori ambientali e condizioni cognitive-emotive-comportamentali, sono chiavi di lettura genetiche inadeguate, nella migliore delle ipotesi di tipo probabilistico, che possono generare tra l’altro uno “tzunami sanitario” se intesi come fattori causali. In generale c’è una pericolosa confusione e commistione tra diagnosi-psicoterapia e ricerca scientifica, con un uso massiccio di proposizioni caratterizzate da “condizionali” con antecedenti falsi.

Il dott. Renato Donfrancesco, del Centro di riferimento regionale per l’Adhd ‘La Scarpetta’ di Roma, che utilizza abitualmente psicofarmaci nella terapia per l’iperattività, ha dichiarato che “aiutare i bambini significa aiutare tutta la famiglia che è pesantemente coinvolta dall’Adhd”, e che “nell’80% dei casi, l’iperattività scompare dopo i 14-16 anni ma è importante che venga trattata per tempo per evitare che si instaurino depressione, forme ansiose o comportamenti a rischio per sé e per gli altri”. Cosa si sente di rispondere a queste affermazioni?
Sia pure in percentuale diversa, scompaiono anche impulsività e disattenzione, e scompaiono senza utilizzare psicofarmaci. Sul sito dell’AIFA-famiglie (l’Associazione di genitori che hanno scelto di somministrare psicofarmaci ai propri figli, ndr) trovo scritto “Nessun dato accurato è disponibile sulla prevalenza dell’ADHD in età adulta”, dunque sono solo chiacchiere inconsistenti come la nosografia stessa. Se s’instaurano “depressione, forme ansiose o comportamenti a rischio per sé e per gli altri” è perché medici e psicologi non sanno capire la vera causa del problema e il minore reagisce così. Un’accurata e tempestiva diagnosi differenziale eviterebbe tutto questo. “Aiutare i bambini significa aiutare tutta la famiglia che è pesantemente coinvolta dall’Adhd” con gli psicofarmaci andrebbe spiegato alle famiglie con bambini deceduti per problemi cardiaci o per suicidio, e a coloro che hanno effetti collaterali gravi e a volte irreversibili che gli sconvolgono la vita per sempre. Tra gli effetti iatrogeni certi del Ritalin l’EMEA annovera “aggressività e comportamento violento” il che sta ad indicare che il farmaco può indurre comportamenti pericolosi per gli altri che potenzialmente possono arrivare fino all’omicidio, il Ritalin è pericoloso, lo Strattera ancora di più. Se si vuole farne una questione di probabilità statistica, a titolo d’esempio leggete questa interessante ricerca in lingua italiana sulla farmacovigilanza canadese e vi renderete conto che è un colabrodo inattendibile e che quello degli effetti avversi degli psicofarmaci sui minori è un capitolo da riscrivere, e non in senso più lusinghiero.

Gettando lo sguardo ipoteticamente avanti di 20 anni, che futuro vede per l’ADHD? Una società medicalizzata o – come per altre celebri patologie del passato – l’archivio della memoria, ed il ridicolo per chi – uomo di scienza – ha sostenuto l’opportunità di medicalizzare questo disagio?
La nosografia ADHD o un suo equivalente esisterà ancora, si arriverà alle nanomedicine ed alla terapia genica preventiva, che creeranno un dilemma terapeutico ed etico. Sarà un capitolo nuovo e sconvolgente per l’intera umanità. Cito in merito qualche passaggio di due articoli perlomeno discutibili scritti da noti psichiatri italiani:
– P. Pancheri nell’editoriale Anno Domini 2045: Tutti lo sappiamo, è procedura standard correggere con farmaci genici il difetto nel DNA al momento della nascita di ogni bambino. Realizziamo in sintesi un altro antico sogno: la psicovaccinazione contro le principali malattie psichiatriche gravi. È allo studio, presso i laboratori di genetica della UCLA, la possibilità di psicovaccinazioni su ogni nuovo nato, anche contro i disturbi minori.
– G.B. Cassano nell’editoriale La Psichiatria nel 21° secolo: Le malattie genetiche, ad esempio, potranno essere prevenute o corrette prima della nascita, e non lontano è il tempo in cui le alterazioni ideative e comportamentali potranno essere corrette dal medico esperto attraverso un intervento sul singolo gene o sui livelli di attività di uno o più neuromediatori… Quando la prevenzione primaria sarà un fatto compiuto, quando cioè saremo intervenuti anche sulle interazioni tra geni e ambiente, allora gli psicofarmaci, oggi fondamentali quanto gli antibiotici, verranno abbandonati.

Quindi assisteremo alla “conversione” della psichiatria da pratica farmacologica a pratica genetica?
Senza dubbio, inoltre l’approccio riduzionista della psichiatria molecolare farà nascere la nanopsichiatria e la prevenzione/cura del futuro remoto sarà fatta con le nanomacchine in grado di ripristinare i parametri biochimici ottimali operando sia sul genotipo (legislazione permettendo) che sul fenotipo, come prefigurava Kim Eric Drexler nel 1986 in Motori di creazione, Capitolo 7, Motori di guarigione, malgrado egli ridimensioni tale impiego per i problemi mentali:
Useremo la tecnologia molecolare anche per aver cura della nostra salute, poiché il corpo umano è fatto di molecole … Se dei dispositivi sono in grado di modificare a piacimento le disposizioni di atomi, saranno anche capaci di modificarle secondo uno schema corretto… Altri compiti sono oltre la portata delle macchine ripara-cellule, per svariate ragioni: un esempio di tali compiti è quello del mantenimento della salute mentale… la riparazione delle fibre nervose del cervello può attenuare qualche offuscamento mentale, ma non può revisionare il contenuto della mente. Quest’ultimo può essere modificato soltanto dal paziente, e con grande sforzo. Tutti noi siamo gli autori della nostra mente.”
Anche il transumanesimo detterà le sue regole, e il futuro che si prospetta è inquietante: sarà difficile capire cos’è un essere umano, la mente, il cervello e la coscienza come oggi li conosciamo. I postumani, evoluti semidei con grandi poteri e potenzialmente immortali, avranno ancora bisogno della psichiatria? L’unica possibilità che la psichiatria ha di sopravvivere in questo futuro ipertecnologico e forse distopico è l’opzione biochimica della mente-cervello, e mi pare che l’abbia capito fin da ora, perché è questa la strada che ha iniziato a percorrere con le farmaceutiche mezzo secolo fa. Concordo con Drexler che tutto questo è sbagliato, ma non è una novità che la funzione primaria della psichiatria istituzionale non sia la cura delle persone, ma il controllo delle persone.

Fonte: Giù le Mani dai Bambini

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