30/11/2015
Pesticidi: le alternative esistono (e funzionano)
Fonte: Valori (Rivista)
Poche settimane fa l’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha inserito nella lista dei «probabili cancerogeni» il glifosato, componente principale del diffusissimo pesticida Roundup, prodotto dalla multinazionale Monsanto. Nello stesso elenco sono finiti anche due insetticidi: il malathion e il diazinon. Le prove, sostiene l’organismo interno all’organizzazione mondiale della Sanità, sono ancora «limitate». ma il dubbio che possano nuocere c’è. Anche altre due sostanze, il tetrachlorvinphos e il parathion, sono citate nel rapporto dell’agenzia, che li considera «possibili cancerogeni».
Quella dell’Oms assomiglia a una presa d’atto: sono innumerevoli, ormai, gli studi che dimostrano i danni provocati dall’uso di pesticidi, sull’ambiente come sulla salute umana. E sebbene il vicepresidente di Monsanto, Philip Miller, si sia scagliato contro l’agenzia Onu, bollando come «di scarsa qualità» lo studio effettuato, il nodo del problema è legato al mero buon senso. Qualsiasi decisione dovrebbe basarsi sul principio di precauzione, tenuto conto dei numerosi aspetti (quantomeno) controversi della questione.
Le alternative, tra l’altro, non mancano: già nel 2011 la Fao aveva lanciato un ampio progetto internazionale, in Africa occidentale, per promuovere pratiche agricole sostenibili, riducendo l’uso di pesticidi tossici e aumentando al contempo sia le rese dei raccolti sia gli introiti degli agricoltori. In 100mila parteciparono al progetto, lavorando in gruppi ristretti nel quadro di “scuole pratiche” con l’obiettivo di adottare e sviluppare una cultura di buone pratiche: l’uso di insetti predatori, la scelta di varietà vegetali adatte al luogo e l’utilizzo di pesticidi naturali.
L'Europa che dice no
Ma la questione non riguarda solo l’agricoltura: anche alcune città europee hanno scelto di abbandonare i pesticidi. Versailles, in Francia, nel quadro della gestione di tutti gli spazi verdi (i giardini, i parchi, le aiuole comunali), ha ad esempio deciso di seguire la politica “zero-phyto”, ovvero l’abbandono totale dei prodotti chimici (a partire dai diserbanti). È bastato un piano ad hoc per il trattamento di erba e piante per risparmiare 128mila litri di prodotti potenzialmente in grado di contaminare il suolo e le falde acquifere.
Legato a quello dei pesticidi, c’è poi il problema dell’uso di fertilizzanti chimici. Soprattutto nei processi agroindustriali intensivi, nei quali il terreno è sottoposto a un intenso sfruttamento ad ogni ciclo produttivo, tali prodotti hanno assunto un'importanza fondamentale. E a farne le spese sono, ancora una volta, le risorse idriche che rischiano di ritrovarsi contaminate.
Eppure, anche in questo caso, le alternative esistono: una ricerca effettuata da Barilla, dall’università cattolica di Piacenza e dal Life Cycle Engineering di Torino, ha dimostrato che usando meno fertilizzanti si può ottenere un notevole risparmio economico (57 euro per tonnellata di prodotto) e perfino una resa maggiore (in media, 1,3 tonnellate di raccolto in più per ettaro).
L’analisi era stata effettuata sui campi di venticinque agricoltori che forniscono grano all’azienda, nei quali anziché usare i fertilizzanti si è optato per la semplice rotazione delle coltivazioni, tenendo conto anche dei luoghi, delle caratteristiche del suolo e del grano, nonché delle specifiche condizioni meteo.
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