La barriera corallina del Belize, i centri storici di Zabid, Siviglia e Istanbul, il Buddha di Leshan. Ma anche la Val di Noto, le Cinque Terre, la Costiera amalfitana. Lo sviluppo basato solo su ricchezza economica ed edilizia mette in crisi parchi, città d’arte, luoghi storici. L’Unesco lancia l’allarme. E minaccia di privare molti siti del marchio di “Patrimonio dell’Umanità”.
A confronto il celebre Tafazzi, felice e sorridente mentre si infliggeva bottigliate nelle parti basse, era un dilettante. È come se giocassimo a pallavolo con un bel vaso etrusco, o usassimo un quadro di Van Gogh per il tiro-a-segno, o rompessimo una sedia Luigi XIV per ravvivare il fuoco nel caminetto. Gesti da folli. Eppure è quello che, tutti insieme, facciamo alle meraviglie ereditate da Madre Natura e dai nostri avi. Sulle loro spalle dovremmo camminare per crescere. La realtà dice il contrario. Racconta di una serie di “Patrimoni dell’Umanità” in grande sofferenza. Se non in vero pericolo.
L’Unesco, l’organismo dell’Onu che conferisce il famoso riconoscimento, è talmente preoccupata da avere una sorta di “black list” dei siti che rischiano di vedersi privare dell’agognato titolo perché maltrattati dall’incuria umana.
Nessuna latitudine è risparmiata: si va dalla barriera corallina del Belize, minacciata dall’eccessivo sfruttamento delle coste, all’antica capitale dello Yemen, Zabid, in cui il 40% degli edifici storici è stato raso al suolo. Dal Buddha di Leshan, che ha resistito oltre 12 secoli, ma nulla può davanti al super inquinamento che soffoca la città cinese, al Los Katios Park in Colombia, punta di diamante per la sua diversità biologica ma vittima del commercio illegale di legno. Nemmeno la vecchia Europa è immune: Siviglia è osservata speciale per il progetto di un grattacielo di 178 metri, finanziato dal Banco Cajasol, che snaturerebbe il suo skyline. Idem Istanbul, a causa degli abbattimenti delle case nei quartieri Sulukule e Tarlatasi, decisi per far posto ad abitazioni di lusso.
E Dresda ha già perso il marchio Unesco per un ponte sull’Elba che ha deturpato la bellezza della valle. Tanti luoghi mozzafiato. Messi in pericolo da un unico, ottuso, predatore: l’homo (non) sapiens. Che disbosca, inquina, cementifica, depreda gli ecosistemi.
L’Italia in quella lista della vergogna per fortuna non è (ancora?) menzionata. Ma il fatto non dovrebbe sollevarci più di tanto. Perché, comunque, molti dei gioielli che il mondo ci invidia sono in grande affanno. Vittime di una gestione miope del territorio. «Su tutti, ci preoccupa la situazione dei centri storici che soffocano sotto smog, asfalto e cemento», denuncia Giovanni Puglisi, rettore della Iulm e presidente della Commissione italiana per l’Unesco. «Napoli, ma anche Firenze, Roma, Palermo sono sorvegliate speciali.
Ma siamo preoccupati anche per la costiera Amalfitana, in cui ci sono 25 mila abitanti e 27 mila richieste di condono. Per le edificazioni senza sosta alle Cinque Terre. E per la Val di Noto, tra Siracusa e Augusta, minacciata dai progetti di trivellazioni petrolifere».
Scelte inconcepibili. Anche dal punto di vista del ritorno economico per la collettività: un rapporto dell’Unesco di Parigi ha quantificato in un +20/30% l’aumento di introiti legato alla possibilità di potersi fregiare del titolo di “patrimonio dell’Umanità”.
Tanti piccoli Tafazzi, appunto. Per la serie: continuiamo così, facciamoci del male...