05/02/2011
Agricoltura. Il credito è una corsa a ostacoli
Fonte: Valori (Rivista)
Il settore ha tassi di insolvenza inferiori a edilizia, commercio, servizi. Ma ottenere prestiti è sempre più difficile. Troppo rigidi i criteri per concederli, nessun interesse per il business plan. E le fusioni bancarie allentano i rapporti con il territorio.
Antonio Bernardi è un giovane viticoltore proprietario di un terreno a Castellaneta Marina (Taranto). Una bella storia, la sua: a metà anni Novanta converte al biologico certificato i quattro ettari del fondo agricolo di famiglia e lo rimette in sesto, riportando i bilanci in attivo. Almeno fino al 2009, quando l’azienda ha problemi di liquidità, a causa di un’avversa stagione meteorologica che ha ridotto i ricavi a un terzo. È a quel punto che inizia l’odissea che lo accomuna a molti agricoltori: ottenere crediti che anticipino all’impresa agricola il denaro che arriverà una volta venduti i prodotti.
Ma il sistema bancario italiano, soprattutto per i finanziamenti “di conduzione”, non si rivela amico.
Fondi sì, ma solo a lungo termine
La storia di Antonio Bernardi è finita bene, ma non per merito delle banche. Le elaborazioni del Centro Studi Abi su dati Banca d’Italia dimostrano che ottenere i prestiti necessari a condurre quotidianamente un’azienda agricola è più complicato che farsi finanziare progetti di investimento pluriennali. «Il numero dei crediti è ancora in crescita – spiega Roberto Grassa, responsabile Credito e Finanza d'Impresa di Coldiretti – ma negli ultimi anni è rallentato. Dal +14% di tre anni fa si è scesi al +1% del 2009. Se poi guardiamo la curva dei prestiti a breve termine e dei finanziamenti di conduzione notiamo una riduzione drastica». Un aspetto che danneggia soprattutto i piccoli agricoltori (l’85% degli 1,7 milioni di aziende agricole italiane sono ditte individuali), figlio di molte cause.
«Il problema del credito alle imprese agricole è reale», spiega Rino Ghelfi, professore di Economia ed Estimo agrario all’università di Bologna. Eppure l’agricoltura evidenzia meno difficoltà di altri settori a restituire i prestiti, come sottolinea anche l’Abi. Nel 2009 i valori delle sofferenze erano pari a 2.638 milioni. In crescita ovunque: +40% nell’industria, +39% nel commercio, +37% dell’edilizia e solo +23% nell’agricoltura. «Il problema deriva da tre fattori», commenta Ghelfi. «Gli aiuti comunitari in conto esercizio o in conto capitale arrivano sempre con più ritardo e questo comporta maggiori scoperti per le aziende; per loro natura, alcuni prodotti – formaggi stagionati, vino, insaccati – si possono vendere solo parecchi mesi dopo la produzione e prima di riscuotere gli introiti da essi derivanti passa quindi parecchio tempo.
Inoltre, in Italia ottenere fondi dal sistema bancario è ben più complesso che in altri Stati, perché le garanzie richieste sono maggiori». Tutti motivi che vanno a complicare (e non poco) la vita degli agricoltori.
Fusioni bancarie: allontanano dal territorio
Ma non basta: «L’applicazione delle regole di Basilea2 – spiega Roberto Grassa – ha portato le banche ad attuare sistemi di rating più rigidi, penalizzanti per le piccole imprese agricole, che, come ditte individuali, non hanno bilanci e sono quindi più difficili da valutare».
Su questo, s’innesta il fenomeno delle fusioni bancarie. Un vantaggio per la competitività degli istituti di credito, forse. Ma sicuramente un danno perché ha prodotto una perdita di contatto con le realtà territoriali: «Il comparto agricolo non si finanzia stando a tavolino», commenta Giovanni Borlenghi, responsabile del Servizio filiere produttive di Cariparma. «La nascita di grandi agglomerati del credito è stato per noi un vantaggio perché ha rafforzato il rapporto tra gli agricoltori e le banche locali. Noi, infatti, conosciamo meglio il territorio, abbiamo rapporti diretti con le associazioni, i confidi, le aziende agricole. E questo ci fornisce maggiori elementi di conoscenza. Solo un rapporto continuo con un’area produttiva permette di valutare compiutamente le esigenze di fondi, liquidità e la rischiosità dei finanziamenti». Non a caso, il maggior numero di operazioni passa per le banche territoriali. E su 39 miliardi di finanziamenti concessi all’agricoltura, almeno 13 provengono dagli istituti di credito cooperativo.
Le buone idee non contano
Rimane comunque il fatto che i fondi a breve termine sono più difficili da ottenere: «Le banche hanno smesso di dare finanziamenti senza vincolo di destinazione. Il fido copre essenzialmente gli investimenti strutturali», sostiene Roberto Grassa di Coldiretti. Concorda Borlenghi di Cariparma: «Non c’è dubbio che i finanziamenti generici non trovino più il gradimento del sistema bancario. Ormai prevale la logica di crediti con scopi ben precisi».
Cosa ancora più grave, forse, è che il credito è subordinato non solo a finalità ben definite. Ma anche alla possibilità, da parte dell’agricoltore, di fornire garanzie patrimoniali adeguate. «Le nostre banche, nel decidere se concedere un prestito – ammette l’economista Rino Ghelfi – sono da sempre abituate a guardare più alle garanzie immobiliari che alla bontà del progetto. Il fatto di avere proprietà su cui rivalersi conta più di un solido business plan». In pratica: i soldi si prestano a chi già ce li ha.
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